Diventare avvocato con un quiz a crocette: il caso
La discussione sulle modalità di svolgimento dell’esame di abilitazione per diventare avvocato diventa un caso, dopo la proposta della senatrice Sandra Lonardo di trasformare la prova in un quiz a crocette.
L’idea nasce dalla necessità di trovare soluzioni più snelle per non lasciare indietro le attività forensi durante l’emergenza Covid. L’esame di abilitazione ad avvocato nella forma attuale richiede infatti 3 prove scritte ed una orale, che devono essere corrette da una commissione.
Dato l’obbligo di distanziamento e l’annullamento di tutte le prove concorsuali in presenza, questa tipologia non è più attuabile e quindi il prosieguo delle attività e dell’inserimento nel mondo del lavoro dei laureati all’università di Giurisprudenza rischiano un lungo rallentamento.
Cosa fare dunque? Bisogna pensare a soluzioni più veloci che riescano comunque a garantire la verifica accurata della preparazione dell’aspirante professionista e delle sue capacità di gestire un processo o la redazione di un atto giudiziario.
Perchè il quiz non va bene
Da queste premesse nasce l’invito alla creazione di un test a crocette, che però ha destato molti dubbi sulla sua reale validità. Secondo la presidente dell'Unione Nazionale Avvocati Enti Pubblici (Unaep), Antonella Trentini, questa modalità infatti è errata e rischia di rendere la prova non solo poco efficace ma non idonea a accertare le reali conoscenze del candidato e la sua idoneità a cominciare la professione.
La proposta infatti prevede il superamento della prova con 70 risposte esatte su 90 in 3 ore di valutazione. Passare da un esame, sicuramente complesso e farraginoso come quello attuale, ad uno troppo semplice creerebbe un divario troppo esagerato.
Sappiamo infatti che il corso di laurea per diventare avvocato, che negli ultimi anni si può seguire anche online grazie alle Università telematiche come Unicusano, richiede un impegno pluriennale importante e soprattutto l’apprendimento di materie e modalità di gestione delle attività che bisogna acquisire in maniera completa.
Non si può quindi ridurre l’abilitazione ad una verifica a crocette, al fine di evitare l’ingresso nella professione forense di persone non ancora pronte o che devono ancora colmare alcune lacune.
L’esame di abilitazione, ricordiamolo, arriva dopo 18 mesi di praticantato in un ufficio legale o presso enti pubblici accreditati, e quindi ridurre tutto questo impegno alla sorte di una scelta multipla è demotivante anche per l’aspirante avvocato.
Possibili soluzioni
Una delle soluzioni caldeggiate dall’Unaep è quella di ridurre le prove ad una scritta e una orale, con la redazione a scelta tra un atto processuale civile, penale o amministrativo per la prova scritta e la discussione di una causa per la prova orale, con l’estrazione telematica della domanda tra le materie relative al tipo di praticantato che ha svolto il candidato, così come stabilito nell’ultima sessione 2019/2020, che ha introdotto anche nuove materie da studiare.
Ciò snellirebbe di molto le procedure e i tempi, velocizzando così l’ingresso di nuovi professionisti nel mondo dell’avvocatura ed evitando un ingolfamento delle prove quando la situazione si sarà stabilizzata. È questa una soluzione che sembra la giusta mediazione in questo momento di necessità, che lascia comunque al centro l’obiettivo delle prove di abilitazione: accertare la preparazione del professionista.
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