TRILOGIA DELLA CATASTROFE
Oggi vi racconto un libro non comune, uno di quelli in cui tuffarsi quando si esclama: “voglio leggere qualcosa di diverso!”. E questo è proprio il periodo adatto, poiché in estate è più facile trovare un po’ di tempo per sé. Cominciamo dalla casa editrice, si chiama Effequ, la conoscete? Scommetto di no, e allora ricordate che i piccoli editori, talvolta semi-sconosciuti, spesso indipendenti da catene e logiche di gruppo, pubblicano più facilmente libri originali ed interessanti.
Passiamo al titolo: “Trilogia della catastrofe. Prima, durante e dopo la fine del mondo”. Si tratta di un saggio filosofico – giornalistico – scientifico, scritto da tre autori:
- Emmanuela Carbé, con uno stile più letterario ed intimistico affronta il Principio;
- Jacopo La Forgia, tramite un’inchiesta di giornalismo investigativo, affronta il Durante;
- Francesco D’Isa, con la penna del divulgatore scientifico, scrive la Fine.
Cominciamo quindi con il saggio di Emmanuela Carbé. L’autrice, dopo essersi presentata, in modo peraltro innovativo, affronta il Principio. Posto che la catastrofe non è necessariamente qualcosa di luttuoso, in quanto può essere una sorta di ribaltamento con una (nuova) destinazione incognita, non è comunque facile capire dove si possa collocare il Principio della catastrofe. Soprattutto perché siamo sostanzialmente saturi di informazioni e piuttosto incapaci di fare sintesi. E’ quindi possibile immaginare il Principio in qualunque momento del tempo – ad esempio, come fa l’autrice – al 1° novembre 1814. La chiave di lettura fornita da Emmanuela è Italo Calvino, quando egli affermò: “Le fiabe sono vere”. Cosa significa? Certo, per esplicita ammissione dell’autrice, non si tratta di una citazione a caso, è invece un modo per richiamare il lettore sul modo in cui si costruisce una fiaba, e sul fatto che qualcosa di totalmente falso può essere creduto, come assolutamente vero. Se vediamo tanti avvenimenti, che si verificano uno dopo l’altro, e non riusciamo a comprenderli, è perché non conosciamo il filo conduttore. Talvolta il filo conduttore può essere inventato e noi crediamo ad una certa interpretazione (falsa) degli eventi, e così addirittura “intere nazioni sono costruite sulle fiabe”. In buona sostanza, se gli eventi sono uniti in una narrazione coerente, noi potremmo effettivamente crederci e vivere in una sorta di fiaba. Ciò significa che la memoria della realtà viene talvolta distrutta, e viene costruita, al suo posto, una memoria fittizia. E questo processo può essere ripetuto più volte, di conseguenza, che senso ha interrogarsi sul Principio della catastrofe?
Con Jacopo La Forgia, che affronta il Durante con un pezzo intitolato: “Costruire il risveglio”, comincia una vera e propria storia. E’ la storia di un viaggio importante, per la distanza da casa, per gli incontri avuti, per il fine documentaristico che si pone, per una raccolta – appunto – di memorie piuttosto sconosciute. “Delle ottantamila persone uccise a Bali, e delle altre centinaia di migliaia torturate, massacrate e deportate nel resto dell’Indonesia nessuno sa niente”. La catastrofe è avvenuta in quel Paese nel 1965, in piena guerra fredda, quando la morte di mezzo milione di comunisti non fu vista come una tragedia. Persino nel 2015, per i 50 anni dalla repressione anticomunista (che ne sarebbe stato il tema centrale), il “Writers and Readers Festival” indonesiano è stato bloccato. In un certo senso, con il racconto dei fatti, Jacopo si aggancia al pezzo di Emmanuela: se è vero che viviamo in una fiaba, è anche vero che c’è chi rischia la vita per ricostruirsi ricostruendo una memoria collettiva aderente al vero, cercando di distogliere le masse dalla storia raccontata dal regime, e fissata nelle menti con una propaganda mai effettivamente cessata.
Francesco D’Isa scrive invece la Fine e comincia così: “Più o meno nell’anno in cui sono venuto al mondo, il 1980, alcune persone hanno deciso che era meglio procurare dei danni catastrofici a tutti coloro che sarebbero nati da lì in avanti, piuttosto che tollerare un abbassamento del proprio stile di vita. Queste persone, molte delle quali sono ancora vive, hanno destinato le attuali e future generazioni a fame, guerre ed epidemie”. Qui è chiaro di quale catastrofe si parla: è il surriscaldamento globale. Però l’autore indica non solo quando, ma anche chi, cioè i responsabili (come gruppo di soggetti) e lo fa (anche) a partire da una sua questione personale: come ha cominciato a fumare e come ha smesso. E ciò consente di avvicinare alle nostre vite – in termini di comprensione – il problema del cambiamento climatico. Francesco affronta la questione come un buon divulgatore scientifico, aggiungendo anche spiegazioni relative al cervello, alle emozioni, alla percezione dei rischi ed alla disponibilità ad agire sulla base di notizie certe o incerte. Poi, sul surriscaldamento globale, scrive un’analogia fulminante: “La diagnosi è chiara, il mondo ha un tumore. Bisogna capire se è curabile”. A tale scopo, Jacopo si sofferma anche sulla gestione della morte, come chiave di interpretazione dei comportamenti delle masse. E, devo dire, scrive cose molto interdisciplinari, utili ed interessanti.
Walter Caputo
Passiamo al titolo: “Trilogia della catastrofe. Prima, durante e dopo la fine del mondo”. Si tratta di un saggio filosofico – giornalistico – scientifico, scritto da tre autori:
- Emmanuela Carbé, con uno stile più letterario ed intimistico affronta il Principio;
- Jacopo La Forgia, tramite un’inchiesta di giornalismo investigativo, affronta il Durante;
- Francesco D’Isa, con la penna del divulgatore scientifico, scrive la Fine.
Cominciamo quindi con il saggio di Emmanuela Carbé. L’autrice, dopo essersi presentata, in modo peraltro innovativo, affronta il Principio. Posto che la catastrofe non è necessariamente qualcosa di luttuoso, in quanto può essere una sorta di ribaltamento con una (nuova) destinazione incognita, non è comunque facile capire dove si possa collocare il Principio della catastrofe. Soprattutto perché siamo sostanzialmente saturi di informazioni e piuttosto incapaci di fare sintesi. E’ quindi possibile immaginare il Principio in qualunque momento del tempo – ad esempio, come fa l’autrice – al 1° novembre 1814. La chiave di lettura fornita da Emmanuela è Italo Calvino, quando egli affermò: “Le fiabe sono vere”. Cosa significa? Certo, per esplicita ammissione dell’autrice, non si tratta di una citazione a caso, è invece un modo per richiamare il lettore sul modo in cui si costruisce una fiaba, e sul fatto che qualcosa di totalmente falso può essere creduto, come assolutamente vero. Se vediamo tanti avvenimenti, che si verificano uno dopo l’altro, e non riusciamo a comprenderli, è perché non conosciamo il filo conduttore. Talvolta il filo conduttore può essere inventato e noi crediamo ad una certa interpretazione (falsa) degli eventi, e così addirittura “intere nazioni sono costruite sulle fiabe”. In buona sostanza, se gli eventi sono uniti in una narrazione coerente, noi potremmo effettivamente crederci e vivere in una sorta di fiaba. Ciò significa che la memoria della realtà viene talvolta distrutta, e viene costruita, al suo posto, una memoria fittizia. E questo processo può essere ripetuto più volte, di conseguenza, che senso ha interrogarsi sul Principio della catastrofe?
Con Jacopo La Forgia, che affronta il Durante con un pezzo intitolato: “Costruire il risveglio”, comincia una vera e propria storia. E’ la storia di un viaggio importante, per la distanza da casa, per gli incontri avuti, per il fine documentaristico che si pone, per una raccolta – appunto – di memorie piuttosto sconosciute. “Delle ottantamila persone uccise a Bali, e delle altre centinaia di migliaia torturate, massacrate e deportate nel resto dell’Indonesia nessuno sa niente”. La catastrofe è avvenuta in quel Paese nel 1965, in piena guerra fredda, quando la morte di mezzo milione di comunisti non fu vista come una tragedia. Persino nel 2015, per i 50 anni dalla repressione anticomunista (che ne sarebbe stato il tema centrale), il “Writers and Readers Festival” indonesiano è stato bloccato. In un certo senso, con il racconto dei fatti, Jacopo si aggancia al pezzo di Emmanuela: se è vero che viviamo in una fiaba, è anche vero che c’è chi rischia la vita per ricostruirsi ricostruendo una memoria collettiva aderente al vero, cercando di distogliere le masse dalla storia raccontata dal regime, e fissata nelle menti con una propaganda mai effettivamente cessata.
Francesco D’Isa scrive invece la Fine e comincia così: “Più o meno nell’anno in cui sono venuto al mondo, il 1980, alcune persone hanno deciso che era meglio procurare dei danni catastrofici a tutti coloro che sarebbero nati da lì in avanti, piuttosto che tollerare un abbassamento del proprio stile di vita. Queste persone, molte delle quali sono ancora vive, hanno destinato le attuali e future generazioni a fame, guerre ed epidemie”. Qui è chiaro di quale catastrofe si parla: è il surriscaldamento globale. Però l’autore indica non solo quando, ma anche chi, cioè i responsabili (come gruppo di soggetti) e lo fa (anche) a partire da una sua questione personale: come ha cominciato a fumare e come ha smesso. E ciò consente di avvicinare alle nostre vite – in termini di comprensione – il problema del cambiamento climatico. Francesco affronta la questione come un buon divulgatore scientifico, aggiungendo anche spiegazioni relative al cervello, alle emozioni, alla percezione dei rischi ed alla disponibilità ad agire sulla base di notizie certe o incerte. Poi, sul surriscaldamento globale, scrive un’analogia fulminante: “La diagnosi è chiara, il mondo ha un tumore. Bisogna capire se è curabile”. A tale scopo, Jacopo si sofferma anche sulla gestione della morte, come chiave di interpretazione dei comportamenti delle masse. E, devo dire, scrive cose molto interdisciplinari, utili ed interessanti.
Walter Caputo
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