IL MORBO DEI DOTTORI
Ci vuole poco ad essere catapultati in un grande ospedale di Vienna nel 1847. Si entra per partorire e dopo qualche giorno ci si ritrova cadavere su un tavolo, sotto gli occhi di medici e studenti di medicina, che scrutano gli inequivocabili segni della febbre puerperale.
"Nessuno sapeva cosa la causasse, e nessuno sapeva cosa fare" scrive Sherwin B. Nuland (nella traduzione di Giuliana Picco) all'inizio del secondo capitolo de "Il morbo dei dottori - La strana storia di Ignac Semmelweis" (Codice Edizioni, 2020). Una storia che comincia proprio inducendo il lettore a tuffarsi in quel mondo privo di igiene, dove si vedono i segni della morte, ma non se ne comprendono le cause. Ed effettivamente è difficile staccare gli occhi dal testo del primo capitolo: io non ci sono riuscito. Ho cominciato a scrivere una volta giunto all'inizio del secondo.
Trovarsi di fronte a qualcosa che uccide, ma che non si conosce è psicologicamente dirompente. Non è una situazione molto diversa da quella che stiamo vivendo durante la pandemia di Covid-19. Dobbiamo necessariamente accettare l'incertezza, ma non ne siamo capaci. Dobbiamo tener duro e aver fiducia nella scienza e nella politica, ma non è certo facile.
Ma torniamo alla metà del XIX secolo, con una domanda: "Perché i medici non comprendevano ciò che avevano sotto gli occhi?". Credevano che la causa della "febbre da parto" fosse l'arresto delle lochiazioni: "i lochi - impediti nel loro deflusso attraverso lo sbocco uterino - stagnavano, putrefacevano e risalivano nei tessuti e nel sangue, provocando dolore, febbre e infine la morte". Altrimenti si pensava che il latte materno - composto da fluido mestruale trasformato, in risalita tramite un dotto dall'utero al capezzolo - avesse deviato dal suo normale percorso per ristagnare nell'addome.
Ma i numeri - ad un certo punto - cominciarono a suggerire delle ipotesi a coloro che sapevano intenderli. Le epidemie di febbre puerperale erano molto più intense negli ospedali piuttosto che fra coloro che partorivano in casa. "Non solo l'incidenza era inferiore, ma lo era anche la mortalità associata: quando la malattia si verificava dopo un parto in casa, ne moriva il 35% delle vittime; in ospedale fra l'80 e il 90%". Differenze altrettanto rilevanti nella mortalità si rilevavano fra ospedali senza reparto e ospedali con reparto di maternità: in questi ultimi morivano molte più madri. Gli ospedali erano sporchi ed affollati e vi si moriva facilmente (fino al 50% dei casi) anche dopo qualunque operazione chirurgica. Ma, negli anni 40 dell'800, della febbre puerperale, non si conoscevano né le cause, né i vettori.
Solo quando si capì che - tendenzialmente - le donne morivano in successione quando passavano dalle mani dello stesso medico, allora si cominciò a cercare una causa esterna all'addome delle vittime. Il medico scozzese Alexander Gordon si trovò ad operare su qualcosa di molto simile ad un insieme di donne estratte tramite campionamento casuale semplice. Detto in altri termini: "le 77 pazienti da lui personalmente curate (si cui 28 morirono) erano una sezione trasversale della popolazione di Aberdeen, che trascendeva confini di reddito, temperamento, stato civile, età, statura e robustezza". Si trattò di un campione piccolo, ma comunque fu fatto un grosso passo statistico in avanti.
Così Gordon capì che il metodo di propagazione era il contagio e nel 1795 pubblicò: "A treatise on the epidemic puerperal fever of Aberdeen" in cui sostenne una tesi innovativa sorretta da dati verificabili. Con amarezza scrisse: "E' una spiacevole rivelazione per me, ammettere che io stesso sono stato il mezzo di trasporto dell'infezione ad un gran numero di donne".
Naturalmente, questo è solo l'inizio di una lunga e bella storia della medicina, raccontata ne "Il morbo dei dottori", un'opera in cui si capisce con chiara evidenza che per comprendere il futuro, occorre svelare il passato. Inoltre, dalla scienza non si possono pretendere soluzioni miracolose e immediate, perché essa ha bisogno di tempo, come hanno bisogno di tempo le analisi sui dati. Se in questo tempo si incontrano menti particolarmente geniali, che comprendono il vettore di trasmissione e/o l'agente eziologico, non è detto che le loro idee si diffondano subito, né che vengano immediatamente comprese, studiate e applicate.
Walter Caputo
Divulgatore scientifico
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