LO SVILUPPO DELL’INTERAZIONE SOCIALE NELL’AUTISMO: L’APPROCCIO DI CESARINA XAIZ E ENRICO MICHELI
DSM V |
Nel
nuovo manuale dei criteri diagnostici (il DSM
V -
Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders,
APA 2013), gli aspetti sintomatici sono
raggruppati in due categorie:
1.
Deficit persistente nella comunicazione
sociale e nell’interazione
sociale (che comprende sia le
difficoltà sociali che quelle di comunicazione);
2.
Comportamenti e/o interessi e/o attività ristrette
e ripetitive.
Le
Linee Guida
redatte dall’Istituto Superiore di Sanità (aggiornate all’ottobre
2015) su “Il trattamento dei disturbi dello spettro autistico nei
bambini e negli adolescenti”, riportano diversi possibili approcci
per il loro trattamento, tutti conseguenti ad una valutazione
approfondita (condotta nei centri sanitari competenti). In ogni caso
viene ribadita la centralità dell’intervento di tipo
PSICOEDUCATIVO, che
deve essere distribuito tra i contesti domestico, scolastico e nei
centri abilitativi e deve vedere costantemente coinvolti la famiglia,
gli educatori, gli insegnanti e gli operatori scolastici, in una
presa in carico sinergica con gli altri terapisti della
riabilitazione indicati (logopedisti e terapisti della neuro e
psicomotricità dell’età evolutiva TNPEE).
Una
delle caratteristiche più complesse dei DPS è l’alterazione delle
interazioni sociali reciproche, strettamente interconnessa con le
difficoltà nella comunicazione. E’ la ragione per cui, già in età
precoce, il bimbo con autismo si mostra incapace di condividere con
chi interagisce con lui l’attenzione per gli oggetti e per le
attività, i sentimenti di gioia, sorpresa, paura, di rispettare i
turni nel gioco o nelle attività di gruppo. L’attenzione
congiunta, l’emozione congiunta, l’intenzione congiunta sono i
correlati comportamentali di quella che definiamo
“intersoggettività”,
ovvero la “co-costruzione di significati emotivi socialmente
condivisi”1.
Tutti i bimbi sviluppano e sperimentano questi comportamenti sociali,
passando gradualmente attraverso l’imitazione reciproca (con le
figure genitoriali in primis) e la conquista del linguaggio parlato.
In questo complesso processo, il gioco
costituisce lo strumento elettivo
attraverso cui il bambino si indirizza verso l’evoluzione di
abilità motorie, cognitive, linguistiche e, naturalmente, sociali.
Nei bimbi
con autismo tuttavia questa evoluzione è alterata e, anche quando il
grado di comprensione cognitiva e linguistica non si discosta
significativamente da quello della popolazione detta “normotipica”,
sono spesso proprio le differenze qualitative degli aspetti sociali
dello sviluppo e, principalmente, la mancanza di motivazione sociale,
a rendere così difficile la vita e il lavoro con i soggetti
autistici.
Lo sviluppo
delle abilità socio-relazionali può risultare ancor più difficile
in presenza di disturbi sensoriali o motori gravi, e può avvenire
molto lentamente in caso di ritardo mentale.
Da qui
nasce l’importanza della promozione delle prime abilità di
relazione sociale in questi bambini che non sono in grado di
svilupparle spontaneamente, ma che richiedono un intervento
educativo mirato. La reciprocità
sociale è infatti il pre-requisito per tutti gli apprendimenti.
Ma quali
sono le modalità da adottare in questo intervento?
Cesarina
Xaiz e Enrico Micheli (psicomotricista e terapista della famiglia la
prima, psicologo e psicoterapeuta il secondo), lavorando insieme al
Ctr di Milano hanno messo a punto, sulla base dei loro studi,
osservazioni ed esperienze sul campo di lungo corso, un modello di
valutazione e intervento educativo per promuovere lo sviluppo delle
prime abilità sociali nei soggetti con difficoltà. Si tratta di una
sintesi
metodologica
dei due approcci tradizionalmente praticati con l’autismo (quasi
due scuole di pensiero opposte): l’approccio interattivo, basato
sulla libera interazione col bambino, e quello di tipo più
direttivo, comportamentale, basato sull’insegnamento programmato.
La
sintesi elaborata da Xaiz e Micheli opera sulle abilità di relazione
sociale reciproca e di comunicazione promuovendo “la motivazione a
incontrare e a riferirsi all’altro, a inviare e ricevere messaggi,
a scoprire e utilizzare funzioni e scopi. […]
Tutto questo vale sia quando si insegna a
un bambino piccolo a guardare insieme con un’altra persona un
oggetto che si muove, che quando si insegnano ad un adolescente le
abilità di conversazione” (cfr nota 1).
In
questo approccio è sostanziale acquisire la consapevolezza che se i
comportamenti sociali vengono insegnati senza essere collegati a
esperienze piacevoli per il bambino, in grado di far scattare in lui
la motivazione a ripeterli e a farli diventare essi stessi
motivazione, il loro insegnamento può ridursi a un vicolo cieco nel
percorso dello sviluppo sociale. Ecco che il gioco
torna quale cornice irrinunciabile in cui inserire le attività
proposte. L’elemento della ripetizione basata sul piacere è
infatti una costante del gioco e in essa sarà possibile inserire
gradualmente i nuovi comportamenti da insegnare, in una circolarità
di soggetti coinvolti: la mamma e il bimbo, gli insegnanti e il
bambino, gli educatori, gli operatori e il bambino.
Nell’approccio
proposto si forniscono indicazioni precise:
- I genitori, gli insegnanti, i terapisti definiscono e condividono i comportamenti che desiderano insegnare (dopo un’accurata valutazione), sulla base delle abilità giudicate utili e alla portata del bimbo al momento dell’avvio del percorso. Modificano questo percorso in base all’osservazione costante dell’insieme dei comportamenti, cognizioni ed emozioni su cui lavorano,
- Lo spazio ed il tempo del lavoro devono essere strutturati, ovvero preventivamente organizzati dall’operatore (anche nella scelta dei materiali/gioco da usare),
- L’attività è guidata con flessibilità dall’osservazione del bambino, dei suoi interessi, del suo modo di funzionare e da ciò che per lui è già almeno in parte significativo; il lavoro va collocato quindi nelle aree delle abilità cosiddette “emergenti”,
- E’ fondamentale la capacità di empatia dell’operatore rispetto al modo in cui il bimbo vive (e tollera anche) le emozioni esperite.
Il libro
citato offre infine numerosi spunti utili per le attività di gioco
da proporre e per la predisposizione dello spazio e del tempo, per
una “nuova alleanza con il bambino”.
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