INTERVISTA A MARCO CHERIN SULLE NUOVE IPOTESI DELLA POLIGAMIA DEI NOSTRI ANTENATI
Le impronte di Laetoli - foto R. Pellizzon |
Stiamo vivendo un momento entusiasmante per la Paleoantropologia. Come già presentato in un precedente post (vedi a questo link) il lungo cammino dell'evoluzione umana continua ... anche con la scoperta di nuove impronte fossili lasciate dai nostri antenati.
L'orgoglio, la soddisfazione di questa eccezionale scoperta appartengono a dei ricercatori italiani che fanno parte del team della Scuola di Paleoantropologia dell'Università di Perugia, dell'Università di Pisa, dell'Università di Firenze e della Sapienza di Roma.
Dal 2010 conducono spedizioni estive di ricerca scientifica nella Gola di Olduvai all'estremo nord della Tanzania, in Africa, in sinergia con un gruppo di studio internazionale con a capo di Prof. F. T. Masao dell'Università di Dar Es Salaam. Ed è proprio quest'ultimo che nel 2015 durante dei sopralluoghi per la costruzione di un museo a Laetoli ha rinvenuto a poca distanza dalle precedenti tracce scoperte dalla paleontologa M. Leakey, le nuove orme lasciate da due individui di Australopitecus afarensis, ulteriori evidenze della primitiva andatura bipede dei nostri antenati.
Della scoperta e dello studio scientifico pubblicato su eLife ce ne parla il ricercatore Marco Cherin, esperto in Paleontologia dei Vertebrati dell'Università di Perugia.
In quale zona africana sono state rinvenute queste nuove impronte di Hominini?
Le impronte sono state rinvenute nel sito di Laetoli, all'interno della Ngorongoro Conservation Area, nel nord della Tanzania. Il sito è famoso in tutto il mondo per le sue "meraviglie" paleontologiche. La successione geologica abbraccia un intervallo che si estende da 4 a 2 milioni di anni circa e ha restituito moltissimi fossili di mammiferi, compresi alcuni resti di Australopithecus afarensis. Laetoli, però, è salito alla ribalta soprattutto quando, nel 1978, Mary Leakey vi scoprì le prime orme di Hominini, datate a 3.66 milioni di anni e attribuite ad Au. afarensis (la stessa specie della famosa Lucy, più "giovane" di circa 500000 anni).
Da chi, quando e in quale modo sono state scoperte per la prima volta?
Le nuove orme sono state scoperte dal Prof. Fidelis Masao (University of Dar es Salaam) e dal suo team in un'area distante solo 150 metri da quello delle orme di Mary Leakey. Il Prof. Masao era stato incaricato di valutare l'impatto di un nuovo museo progettato nell'area di Laetoli e ha scoperto le nuove orme all'interno di alcuni sondaggi.
Ricostruzione dell'ambiente di 3.66 milioni di anni fa - disegno di D. A. Iurino |
Da quali e quanti hominini sono state impresse?
Modello in 3D delle tracce di Laetoli - D. A. Iurino e S. Menconero |
Si possono paragonare a quelle di un individuo umano attuale?
A quale periodo risalgono le impronte e come mai si sono conservate così bene?
Le impronte risalgono a 3.66 milioni di anni. Sono conservate così bene grazie alle caratteristiche uniche del sito di Laetoli. All'epoca, un grande vulcano era in piena attività eruttiva (come molti altri antichi e moderni nell'area della Great Rift Valley). Le ceneri emesse dal vulcano, trasportate dai venti, si depositarono in tutte le zone circostanti. Molto probabilmente, ci trovavamo all'inizio della stagione umida, caratterizzata da frequenti ma brevi acquazzoni. La pioggia, quindi, bagnando la cenere la rese fangosa, permettendo agli animali di lasciare le loro impronte. Il sole, dopo l'acquazzone, fece evaporare l'acqua e le ceneri (anche grazie alla loro particolare composizione chimica) si indurirono velocemente. Infine, una nuova eruzione vulcanica ricoprì di cenere la superficie con le orme, proteggendole per sempre.
M. Cherin durante la pulizia della superficie - foto S. Menconero |
L'area di Laetoli è letteralmente disseminata di siti con impronte fossili, riferibili a una moltitudine di animali transitati sulla stessa superficie: bovidi di varie dimensioni, da quelle di un dik dik a quelle di un bufalo, giraffe, cavalli tridattili, rinoceronti, babbuini, carnivori, elefanti, lepri, ecc. Sono state trovate anche impronte di foglie di acacia cadute dagli alberi, semi, insetti, persino tracce di gocce di pioggia.
Riproduzione su fogli delle impronte - foto R. Pellizzon |
Abbiamo utilizzato sia tecniche tradizionali (studio e misurazione delle orme direttamente sul sito e tramite disegni in scala 1:1 su fogli di plastica trasparente), sia tecniche moderne come la fotomodellazione 3D. Questa tecnica consente di ottenere modelli tridimensionali ad alta risoluzione partendo dalla sovrapposizione digitale di fotografie limitrofe. Questi modelli 3D delle superific con le orme sono straordinari strumenti per la conservazione, visto che restituiscono un'istantanea fedele dello stato delle orme da usare come base per le future operazioni di scavo e tutela. Inoltre, i modelli sono stati usati per estrarre molti dati come lunghezza, larghezza e profondità delle orme, ampiezza della falcata, ecc. Da questi dati, siamo stati in grado di ricavare informazioni quali la velocità di camminata, la statura e il peso dei cinque individui di Laetoli.
Al di là dell'importanza intrinseca della scoperta (si tratta pur sempre delle orme di Hominini più antiche al mondo!), essa aggiunge delle informazioni straordinarie sulla morfologia e la biologia di Au. afarensis. La statura stimata per l'individuo più grande, S1, è di circa 165 cm. Si tratta quindi della più alta australopitecina mai scoperta in Africa (non a caso, l'abbiamo soprannominato Chewie, come Chewbecca di Guerre Stellari!). La presenza di Hominini così alti in epoche remote dimostra inequivocabilmente che la statura non è aumentata in modo lineare lungo il percorso evolutivo umano, ma ha seguito un "percorso" più inaspettato. Inoltre, questo risultato smentisce definitivamente l'idea delle australopitecine come creature tute esili e minute.
Alla luce delle nostre nuove stime di statura e peso corporeo, è stato possibile anche ragionare sull'ipotetica composizione del gruppo sociale di Laetoli. Dato per scontato che Chewie fosse un grosso maschio, abbiamo ipotizzato che i tre individui di dimensioni intermedie (S2, G2, G3, circa 130-145 cm) fossero femmine (o subadulti) e che G1 fosse un piccolo. Questo tipo di struttura sociale ci ha fatto venire in mente quella dell'attuale gorilla, in cui un grosso maschio generalmente "gestisce" un harem di femmine più piccole con i rispettivi cuccioli. La nostra ipotesi, quindi, è che Au. afarensis fosse una specie poligama, in cui ciascun maschio, di grandi dimensioni, formava nuclei familiari con più di una partner. Naturalmente, questa è solo un'ipotesi...
Post a Comment