NUOVE FINESTRE FOTOVOLTAICHE FATTE DI PUNTI DI LUCE
Il funzionamento si basa sui quantum dot, semiconduttori nanometrici che catturano la luce e la convogliano verso i bordi della finestra, dove viene convertita in energia elettrica. Non tossici, incolori e super efficienti, possono essere impiegati subito nell’edilizia sostenibile. Lo studio, condotto dall’Università di Milano-Bicocca in collaborazione con il Los Alamos National Laboratory, è stato pubblicato sulla rivista Nature Nanotechnology.
Sembrano comuni vetri per finestre, ma c’è il trucco. Sono infatti lastre di plastica con speciali nanoparticelle fluorescenti che catturano e concentrano la luce solare trasformando la finestra in un pannello solare.
È il frutto del lavoro di un team di ricerca del Dipartimento di Scienza dei Materiali dell’Università di Milano-Bicocca coordinato dai professori Francesco Meinardi e Sergio Brovelli, in collaborazione con il gruppo guidato da Victor I. Klimov del Los Alamos National Laboratory (U.S.A.) e con Hunter McDaniel dell’azienda UbiQD, che ha messo a punto un nuovo tipo di concentratori solari luminescenti (LSC, Luminescent Solar Concentrators): lastre di plastica o vetro nelle quali sono incorporate speciali nanoparticelle che assorbono la luce solare e la trattengono all’interno della lastra. Quindi, piccole celle solari poste lungo il perimetro della finestra raccolgono la luce intrappolata, convertendola in elettricità (v. figura in allegato). In questo modo, anche una finestra parzialmente trasparente diventa un generatore di elettricità in grado alimentare i computer di un ufficio, il condizionatore d’aria in una giornata afosa o l’illuminazione interna di un’abitazione.
Questi concentratori solari a nanoparticelle sono descritti nello studio “Highly efficient large-area colourless luminescent solar concentrators using heavy-metal-free colloidal quantum dots” (DOI: 10.1038/NNANO.2015.178), pubblicato oggi sulla rivista Nature Nanotechnology.
I nuovi vetri fotovoltaici sviluppati dal team Bicocca-Los Alamos, che arrivano a poco più di un anno dalla pubblicazione di un primo studio dello stesso team che ne dimostrava il principio di funzionamento, hanno diversi vantaggi che li rendono una tecnologia pronta a essere usata dalle aziende.
Innanzitutto, non sono tossici perché in questi dispositivi non vi sono cadmio, né altri metalli: il limite vero alla diffusione di nanomateriali e nanoparticelle in applicazioni di largo consumo finora è stata la loro composizione potenzialmente nociva.
Sono molto efficienti perché assorbono la luce da tutto lo spettro solare (non solo dal rosso, come avviene con i dispositivi precedenti) e al tempo stesso non riassorbono la loro stessa luminescenza.
Sono incolori, superando così uno dei limiti più grandi per l’applicazione in edilizia civile, ovvero l’impatto estetico.
«Affinché questa tecnologia potesse uscire dai laboratori di ricerca ed esprimere il suo potenziale nell’edilizia sostenibile - spiega Francesco Meinardi - è stato necessario abbandonare schemi composizionali delle nanoparticelle dati per scontati fino a ieri. Invece di continuare a lavorare con i classici cristalli semiconduttori a base di metalli pesanti come il cadmio o il piombo noi abbiamo realizzato nanoparticelle costituite da leghe di più elementi, riuscendo ad ottenere concentratori non tossici, con straordinarie capacità di assorbimento della luce del sole, e che al contempo preservano la caratteristica chiave di non riassorbire la luce emessa da loro stessi. In questo modo abbiamo coniugato le elevate efficienze e le grandi dimensioni richieste per la costruzione di elementi architettonici reali. Il fattore estetico è poi di fondamentale importanza perché una soluzione tecnologica per essere accettata non può andare a discapito della qualità della vita».
Il lavoro pubblicato su Nature Nanotechnology è stato realizzato grazie a piccoli finanziamenti di Fondazione Cariplo e dell’Unione Europea. La caratteristica, mai raggiunta finora, di aumentare grandemente l’efficienza fotovoltaica e di ottenere lastre essenzialmente incolori, molto simili alle tipiche lenti degli occhiali da sole grigio-brune, «fa sì che queste nuove finestre fotovoltaiche si integrino in modo ‘invisibile’ nel contesto urbano», sottolinea Francesco Carulli che ha lavorato al progetto durante la sua tesi di Laurea in Scienza dei Materiali per la quale è stato insignito del premio “Technology for human beings” della Prismian Group.
«Questa tecnologia – conclude Sergio Brovelli -, di cui noi avevamo fornito la prova di principio solo un anno fa, diviene ora una realtà facilmente scalabile per la produzione industriale e potrà essere immediatamente utilizzata nella green architecture e nella building sustainability. Con questi nuovi nano-materiali altamente performanti, sarà possibile nel breve periodo realizzare finestre fotovoltaiche o altri elementi architettonici flessibili e semi-trasparenti per convertire non solo i tetti ma tutte le parti di un edificio in generatori di energia solare, come sempre più fondamentale nei contesti ad elevata urbanizzazione. Le nostre stime indicano che sostituendo le vetrate tradizionali di un grattacielo come lo Shard di Londra con i concentratori che abbiamo brevettato, si genererebbe l’energia necessaria alla totale auto-sostenibilità di circa 300 appartamenti. Aggiungete a queste cifre il risparmio energetico derivante dal ridotto ricorso al condizionamento ambientale, grazie all’assorbimento della luce solare da parte dei concentratori solari che limita il sovra riscaldamento degli edifici, e avete una tecnologia potenzialmente rivoluzionaria per le città a energia zero del futuro».
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