ARCHEOLOGIA: INTERVISTA A F. BERNARDINI CHE HA SCOPERTO IL PIÙ ANTICO FORTE ROMANO IN ITALIA
Lo studio pubblicato su Procedings of the National Academy of Sciences riflette una nuova immagine dell'Archeologia: non più scienza che documenta resti di antiche civiltà del passato con metodi tradizionali di scavo, bensì disciplina che si avvale di nuove tecnologie quali il LiDAR, le prospezioni geofisiche e la microsonda elettronica. Il team di scienziati che ha scoperto il più antico accampamento romano italiano, nonchè l'origine dell'antica Tergeste, ovvero la città di Trieste, è internazionale, ma ha l'impronta di un giovane archeologo triestino, Federico Bernardini: ricercatore al laboratorio interdisciplinare dell'International Centre for Theoretical Phisics Abdus Salam di Trieste.
Federico Bernardini nel suo laboratorio all'ICTP |
Fin da giovane appassionato di Archeologia, ancora adolescente ha
partecipato ai primi scavi archeologici a Cupra Marittima nelle Marche,
attraverso l’Archeoclub d’Italia e nel Carso triestino, più precisamente
nella grotta dell’Edera e nella caverna Pocala,
grazie all’Università di Venezia e al Museo di Storia Naturale di
Trieste. Al momento di scegliere il percorso universitario da intraprendere, e
indeciso tra la via umanistica o quella geologica allo studio della preistoria,
ha optato per l’iscrizione alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università
di Trieste. Tuttavia, una volta laureatosi con uno studio interdisciplinare
sulla provenienza di macine in roccia vulcanica del periodo dei castellieri e
dopo aver trascorso un periodo in Inghilterra per studiare l’origine di una
parte dei monoliti di Stonehenge, si è iscritto alla Facoltà di Geologia per
completare la sua preparazione e poter lavore a stretto contatto con specialisti
di materie scientifiche. Nel frattempo ha vinto una borsa di dottorato di
ricerca dedicata allo studio di asce preistoriche in pietra scoperte in Friuli
Venezia Giulia, Slovenia e Croazia e ha
dovuto abbandonare gli studi geologici. Conseguito il dottorato di ricerca, è
stato coinvolto in un progetto dell’ICTP in collaborazione con Elettra
Sincrotrone Trieste per lo sviluppo di strumenti analitici avanzati e non
distruttivi per lo studio di resti archeologici e paleontologici, finanziato dal Centro Fermi di Roma.
Come ha
avuto l’intuizione della presenza di questo sistema di fortificazioni romane nei
pressi di Trieste?
Mappa LiDAR del forte romano di S. Rocco |
Mappa LiDAR delle strutture di Giociana piccola e Montedoro |
Ci può
descrivere brevemente il LiDAR, la tecnologia che ha utilizzato per scoprire le
fortificazioni romane?
Il LiDAR è l’acronimo inglese di “light detection and ranging”. E’ una tecnica di
telerilevamento che permette di produrre modelli digitali del terreno ad
altissima risoluzione, anche in aree coperte da vegetazione. Lo strumento, viene montato su un areomobile
di cui si determina la posizione esatta grazie a sistemi GPS e inerziali. Durante il volo vengono inviati impulsi
laser verso il terreno. Questi
colpiscono la vegetazione e vengono parzialmente riflessi ma continuano il loro
viaggio fino a toccare il terreno producendo quello che viene definito ultimo
riflesso. In base ai tempi ritorno del laser si può calcolare la posizione
spaziale dei punti di riflessione. Il risultato è una nuvola di punti quotati
con grande precisione che rappresentano sia gli alzati che la vegetazione del
terreno. Con una procedura di filtraggio
possono essere eliminati i punti relativi alla vegetazione e si possono creare
dei modelli del terreno ad alta risoluzione che permettono di mettere in luce rilievi
affioranti sulla superficie indagata, talvolta prodotti da strutture
archeologiche.
Quindi lo
studio pubblicato sulla prestigiosa rivista americana Prooceedings oh the National Academy of Science of USA espone...
Modelli digitali delle 3 fortificazioni romane |
Quale forma
avevano le strutture che ha rinvenuto?
Il sito di Grociana piccola presenta due strutture
di fortificazione di forma rettangolare con un orientamento diverso. La più grande
ospita al suo interno quella di dimensioni minori che occupa la parte sommitale
dell’altura. Entrambe sono costituite da murature in calcare a secco.
San Rocco, il campo militare di dimensioni maggiori
con oltre 13 ettari di estensione, ha una stuttura più complessa e irregolare.
La principale struttura di fortificazione ha una forma quasi semicircolare,
mentre al suo interno si riconoscono varie murature. Tra queste, sulla sommità
della collina una fortificazione rettangolare è ancor oggi ben riconoscibile. I
resti del muro della fortificazione principale sono oggi riconoscibili come una
variazione topografica, alta poco meno di un metro ma larga fino a 20 metri.
E’stata prodotta dal graduale collasso del muro originario, probabilmente fabbricato
con la tecnica a sacco con pietre e terra senza l’ausilio di malta. Ipotizziamo
che originariamente potesse avere circa 5 metri di larghezza e un’altezza non
particolarmente elevata e che potesse servire non solo come difesa ma anche
come base da cui colpire il nemico, in analogia con alcuni campi spagnoli coevi.
Infine, il forte di Montedoro è il più piccolo e
presenta una forma rettangolare, con un orientamento molto simile alla
struttura interna di Grociana piccola. In questo caso le difese sono rappresentate
da un fossato esterno e un terrapieno.
Sono stati
ritrovati oggetti dell’epoca romana?
Chiodi di calzature romane rinvenute a Grociana piccola - MiBACT |
Nella struttura interna del forte di Grociana piccola sono venuti alla luce numerosi frammenti di anfore, probabilmente inquadrabili tra la fine del II e la metà del I secolo a.C.. Nello spazio tra la fortificazione interna e quella esterna non affiorano resti ceramici ma è stato scoperto un chiodo pertinente a una caliga militare romana, la calzatura del legionario. Questi chiodi venivano fissati sulla suola delle calighe per conferire alle stesse la capacità di aderire meglio al terreno. Nella parte interna del reperto di Grociana sono visibili dei segni, una sorta di croce con quattro semisfere, i quali permettono di attribuirlo circa alla metà del I secolo a.C..
Nel campo di San Rocco vari resti di anfore e altri
frammenti ceramici sono stati scoperti. Alcune anfore sono dello stessa
tipologia di quelle rinvenute a Grociana ma altre, di tipo greco-italico, si
datano circa alla prima metà del II secolo secolo a.C. e sono fatte con
materiale vulcanico. Le analisi condotte dimostrano che sono state importate
dal Lazio o dalla Campania.
Quindi le
fortificazioni non erano coeve ?
I materiali archeologici a disposizione, rinvenuti
tramite ricognizioni di superficie, permettono di attribuire con una buona
sicurezza la prima fase costruttiva di San Rocco alla prima metà del II secolo
a.C. Per quanto i materiali di Grociana piccola siano posteriori e per il
momento non siano stati rinvenuti manufatti a Montedoro, ipotizziamo che San
Rocco sia stato protetto fin dalla sua prima costruzione da strutture minori ad
esso collegate. Il fatto che i 3 siti siano collocati su alture tra loro
intervisibili supporterebbe questa ipotesi. Il sistema di fortificazione ha
continuato ad essere utilizzato fino almeno alla metà del I secolo a.C.. Questo
non è per nulla sorprendente se si considera che l’area in esame era in quel
periodo una zona di frontiera della Repubblica romana.
In base alla posizione, caratteristiche
costruttive, estensione e cronologia del sito di San Rocco ipotizziamo che
corrisponda al grande campo costruito dai romani durante il primo anno della
seconda guerra contro gli Istri, di cui parla Tito Livio nella sua famosa opera
storica.
L’ipotesi
più incredibile supportata dai ritrovamenti è quella che le fortificazioni romane
di San Rocco rappresentino il sito in cui si sarebbe sviluppato il primo
insediamento di una futura Trieste...
Le fortificazioni scoperte, e in particolare quella
maggiore di San Rocco, sono tra i piu’ antichi esempi di architettura militare
romana in tutta l’area di influenza di questa cultura. Tuttavia, il sito di San
Rocco appare particolarmente significativo anche per lo studio della nascita
della prima Tergeste. Infatti, fino a oggi, sul colle di San Giusto non sono
stati rinvenuti materiali archeologici significativi anteriori al I secolo a.C.
e per questo motivo altri studiosi hanno ipotizzato che il primo insediamento
di Tergeste debba essere cercato altrove, e in particolare nell’area relativamente
fertile e ricca d’ acqua tra il torrente Rosandra e l’Ospo. Solo nella metà del
I secolo a.C., con la fondazione della colonia, Tergeste si sarebbe spostata
sul colle di San Giusto.
Il campo di San Rocco è il sito romano più
significativo noto nell’area di Trieste per il II secolo a. C. sia per le sue
dimensioni che per le imponenti strutture di fortificazione poste
strategicamente a poca distanza da una sicura fonte d’acqua - il torrente
Rosandra - e la parte più protetta della baia di Muggia. Sarebbe illogico
immaginare l’esistenza di un sito coevo di simile importanza sul vicino colle
di San Giusto. Come se non bastasse, tra le poche fonti disponibili che
riportano informazioni sull’origine di Tergeste, Strabone cita Tergeste,
attingendo a fonti più antiche, come phrourion, termine greco allora utilizzato
per descrivere proprio le fortificazioni dell’esercito romano. Ipotizziamo,
quindi, che il primo nucleo di Tergeste si sia sviluppato proprio sul colle di
San Rocco, sfruttando le fortificazioni del campo militare.
Quando
verrano eseguiti gli scavi archeologici?
Tutto dipenderà dalla nostra capacità di ottenere
fondi, indispensabili per effettuare sistematici interventi di scavo, e di
confrontarci con la burocrazia.
Tiziana Brazzatti
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