LA CASA DELLE TARTARUGHE: UN COLD CASE DALLE SFUMATURE NOIR
Abbiamo il piacere di presentare la prima opera narrativa di Massimo Auci, cofondatore di Gravità Zero, e scienziato a tutto tondo. La casa delle tartarughe è un romanzo dalle sfumature noir, lo spaccato di un dramma familiare come tanti che si colora improvvisamente di giallo.
Più che un esordio, una momentanea fuga dal mondo del rigore scientifico a cui Massimo Auci appartiene, una storia coinvolgente che regala l'emozione di uno strano "cold case" e l'esperienza del rigore logico proprio di un romanzo di Arthur Conan Doyle.
Dopo tanti saggi scientifici, come e perché è nata l'idea di scrivere un romanzo?
Direi proprio perché ho scritto tanti saggi. Mi è capitata una cosa simile al secondo anno di università. Studiando matematica e fisica tutti i giorni come mai avevo fatto prima, sono andato in overdose e ho immediatamente avuto la necessità di compensare. Ho cominciato a divorare romanzi su romanzi di autori classici, noti e meno noti, italiani, russi, tedeschi, ho letto più in quei quattro anni che nel resto della mia vita. Un libro ogni tre o quattro giorni, fermandomi solo in prossimità di qualche esame, così tra prestati e comprati ho letto più di 200 libri.
Poi ho cominciaro a leggere letteratura scientifica, soprattutto biografie e autobiografie e, per necessità di lavoro, testi scientifici, articoli. Piano piano mi sono riavvicinato alla letteratura scientifica, poi ho cominciato a fare ricerca, a scrivere articoli scientifici e saggi.
Quando ho pubblicato il mio primo libro di ricerca operativa avevo trent'anni. Ovviamente ne regalai una copia a ciascuno dei miei genitori, ma com'era ovvio lo sfogliarono ma non lo lessero. Lo stesso capitò con gli articoli scientifici che scrivevo e con gli articoli di divulgazione, anche se poi mia mamma diventò una lettrice dei miei articoli, era ovvio che per loro fossero immensamente noiosi. Nello stesso periodo scrivevo come giornalista su un mensile di politica occupandomi di scienza e sviluppo.
Il continuare a scrivere su argomenti che di volta in volta trattavano scienza, politica, tecnologia, mi ha fatto gradualmente venire voglia di scrivere qualcosa che chiunque potesse leggere. Negli anni sono stati innumerevoli i tentativi di scrittura che conservo tutt'ora gelosamente, soprattutto racconti, impressioni, appunti per un romanzo che però non ho mai avuto l'opportunità di scrivere. Quello che mi è mancato era un vero progetto che avesse una trama e soprattutto mi è mancato il tempo per pensarla. Nel duemila arrivò però l'occasione.
Massimo Auci |
Quando ho pubblicato il mio primo libro di ricerca operativa avevo trent'anni. Ovviamente ne regalai una copia a ciascuno dei miei genitori, ma com'era ovvio lo sfogliarono ma non lo lessero. Lo stesso capitò con gli articoli scientifici che scrivevo e con gli articoli di divulgazione, anche se poi mia mamma diventò una lettrice dei miei articoli, era ovvio che per loro fossero immensamente noiosi. Nello stesso periodo scrivevo come giornalista su un mensile di politica occupandomi di scienza e sviluppo.
Il continuare a scrivere su argomenti che di volta in volta trattavano scienza, politica, tecnologia, mi ha fatto gradualmente venire voglia di scrivere qualcosa che chiunque potesse leggere. Negli anni sono stati innumerevoli i tentativi di scrittura che conservo tutt'ora gelosamente, soprattutto racconti, impressioni, appunti per un romanzo che però non ho mai avuto l'opportunità di scrivere. Quello che mi è mancato era un vero progetto che avesse una trama e soprattutto mi è mancato il tempo per pensarla. Nel duemila arrivò però l'occasione.
Chi è stata la tua Musa ispiratrice?
Mi capitò di leggere a distanza di pochi mesi alcuni articoli di cronaca, episodi incresciosi che coinvolgevano anziani affetti da demenza o da Alzheimer e la cosa mi colpì profondamente. Diciamo che come spesso accade, un'ispirazione iniziale c'è sempre. Così ho iniziato una e vera e propria ricerca, ho messo a servizio nella narrazione la mia esperienza di ricercatore. Ho costruito la vita dei personaggi, ho costruito la loro storia, li ho fatti vivere un'esperienza. Ci ho messo un po' a capire quale fosse la strada migliore, trovare uno stile non è facile. Devo dire che di tanti autori letti che amo molto, ce ne sono due che come stile amo particolarmente, sono Umberto Eco e Marina Jarre. Secondo me non è importante cosa si scrive, ma come lo si scrive. Le emozioni trasmesse sono quelle che contano di più.
Un romanzo che si tinge di giallo, un cold case dove la chimica gioca un ruolo centrale: per quale motivo un fisico è così informato sui glucosidi cardiotonici come l'oleandrina contenuta nelle lumache?
Come dicevo ho approfondito il tema ma non voglio svelare troppi segreti. Diciamo che ho utilizzato i trattati medici e le cartelle cliniche disponibili che ho trovato sul web. Per quanto riguarda il tingersi di giallo, il cold case è la tipologia di romanzo noire più difficile da trattare, difficile per la scansione del tempo, difficile per la ricostruzione logica che il lettore fa durante la lettura, fosse un film sarebbe sicuramente più semplice da narrare, ma è la migliore per sviluppare più trame simultanee.
Grosseto, Marina, Castiglione della Pescaia... Quanto sono forti i tuoi legami con la Maremma per avere voluto ambientarvi buona parte della trama?
Devo dire, ed è innegabile, che i legami sono molto forti, mia nonna paterna era toscana e la Maremma la conosco piuttosto bene, come d'altronde conosco molto bene anche molti altri luoghi. L'ambientazione in effetti non è casuale ma la scelta non è comunque stata determinante per lo sviluppo della storia, lo è stata invece per cercare di creare quelle atmosfere estive tipicamente maremmane, dove il blu del mare e il verde della macchia creano sempre forti emozioni.
Il libro è dedicato a qualcuno in particolare?
Direi che essendo stata la mia prima esperienza di narrativa non ho trovato opportuno dedicarlo. Per me è stato piacevole scrivere, quindi questo mi basta.
Massimo Auci
LA CASA DELLE TARTARUGHE
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