Header Ads

L'OCEANO DI PLASTICA: IL NOSTRO NON È IL PIANETA TERRA (parte 2 di 3)



Come abbiamo visto nella prima parte la plastica è entrata nella catena alimentare animale e umana.
Ma i pesci non sono gli unici ad alimentarsene, lo fanno anche gli uccelli marini, le tartarughe e i cetacei.
Le reti e attrezzature da pesca sommate agli imballaggi che utilizziamo hanno creato nel Pacifico nord occidentale un’isola di detriti grande quanto il Canada.

I rifiuti di plastica che si concentrano nel Pacifico del nord si raggruppano in due chiazze di rifiuti – una collocata  a metà strada tra le Hawaii e la California e l’altra tra le Hawaii e il Giappone. Entrambe si formano in aree oligotrofiche, dove le forme di vita sono relativamente scarse. Questo può far pensare che le plastiche rimangano lontane dalle zone di pesca, ma così non è. Le zone di transizione sono le peggiori. Le zone di transizione sono un importante habitat migratorio e di accesso alle risorse alimentari per un gran numero di predatori che si trovano all’apice della catena alimentare. Le specie marine prediligono proprio questo punto dell’oceano dove si concentrano cibo e plastica insieme.

Dopo averci presentato i movimenti della plastica nel mare e le principali fonti di “rilascio” di questi detriti, C. Moore nel suo libro L'oceano di plastica (Feltrinelli editore) passa a spiegarci cosa succede quando la plastica è in acqua, come l’aumento della proliferazione di alghe tossiche. Questo avviene a causa delle sostanze chimiche sintetiche associate alla plastica e degli inquinanti biologici che la plastica assorbe, che hanno proprietà estrogene. Il gas etilene, l’elemento base degli oggetti usa e getta, è uno dei principali ormoni per i vegetali, utilizzato per accelerare il processo di maturazione in molte colture (per esempio viene spruzzato nelle serre per far crescere la verdura e la frutta fuori stagione). Questo gas presente nella plastica accelera la crescita delle alghe infestanti.

Mentre questi detriti galleggiano avvengono due fenomeni.
Primo: i rifiuti assorbono le sostanze tossiche e allo stesso tempo mentre si degradano rilasciano le sostanze chimiche che contengono.
Secondo: la plastica inquina anche i sedimenti. Il Silt è oleoso e per questo attira la plastica.
Plastica, animali marini, animali terrestri e persone hanno tutti una cosa in comune: sono costituiti da sostanze grasse. Questo ci rende degli obiettivi per i POP, sostanze scarsamente solubili ma altamente affini ai grassi presenti nei tessuti viventi.
Per questa ragione negli Stati uniti le mandrie di vitelli e bovini hanno un'alimentazione che comprende crusca di plastica, perché ne aumenta la crescita.
Ma come esattamente queste sostanze tossiche finiscono per integrarsi nell’organismo umano?
Esistono tre vie: ingestione, inalazione e assorbimento tramite il nostro organo più esteso, la pelle.
L’esempio migliore della contaminazione da sostanze plastiche per inalazione è la tenda della doccia. Chi non conosce l’odore plasticoso che associamo al nuovo? Nel 2008 i ricercatori canadesi hanno misurato le esalazioni prodotte da 5 tende da doccia appena acquistate. Nei suoi primi 28 giorni di uso le tende hanno rilasciato 108 sostanze chimiche (sostanze volatili, benzene, toluene, ftalati). L’esposizione a queste sostanze chimiche è associata ad irritazione della pelle (esempio personale. Io non posso indossare orologi con cinturini di plastica se no la pelle si arrossa), irritazione delle vie respiratorie, mal di testa, nausea, danni potenziali a fegato, reni e al SNC.
Molte cose che immaginiamo essere stabili in realtà non lo sono. All’insaputa dell’occhio umano le molecole vivono una vita propria. Nel corso del tempo un infisso in PVC verrà usurato dai raggi ultravioletti del sole, oppure si possono formare delle piccole crepe nella plastica dopo diversi lavaggi in lavastoviglie, perché avviene ossidazione. Quando questo avviene si liberano gli additivi di cui sono formati.
Che effetto ha tutto ciò sulla salute dell'uomo?
Si sono create dagli anni settanta delle “nuove morbilità” come l’asma, l’obesità, il diabete di tipo 2, l’autismo, l’ADHD, i disturbi della tiroide, l’indebolimento del sistema immunitario e la sterilità. I disturbi della tiroide in una donna sono molto preoccupanti, perché questa ghiandola trasmette molte delle informazioni che determinano il giusto allineamento delle cellule nel feto, se la sua funzionalità è compromessa possono risultare danni al cervello del bambino.


Mentre negli Usa si rispetta la regola del danno provocato, l’Europa applica (per fortuna nostra) il principio precauzionale. Questo significa che la salute delle persone viene prima della prosperità economica. Il risultato è una minore presenza di sostanze chimiche nel corpo degli europei.
Chissà se la scienza medica è in grado già da ora di rilevare nel nostro organismo la presenza di queste sostanze?  La farmacologia potrà liberarcene?

Nella parte 3 vedremo quel che il consumatore può fare in merito a questo disastro.

L'oceano di plastica: questo non è il pianeta Terra (parte 1 di 3)

Dr.ssa Luigina Pugno

2 commenti

Oscar ha detto...

Interessante e ben spiegato, attendo con ansia la terza parte, brava.

Marco ha detto...

Mooolto interessante. Complimenti anche per la piacevole stesura dell'articolo che scorre quasi senza accorgersene. Aspetto anche io la terza parte.
Un saluto
Marco