Tutto è cominciato così.
Ero alla prima riunione del mio nuovo datore di lavoro. Accanto a me c’era una mia compagna di specialità che mi dice: “un mio amico, Luis Devin (foto), ha scritto un libro. Lui è un antropologo e sapendo che ti interessano i viaggi e la scienza te lo consiglio”.
A fine giugno il libro era nelle mie mani.
Anche un libro di antropologia (non canonico) sui pigmei Baka del Camerun può offrire spunti di riflessione scientifica, in questo caso sull’ecocompatibilità.
C’è un gran parlare di ecocompatibilità ed ecosostenibilità, di impatto ambientale e km zero, ma di fatto noi esseri umani progrediti pesiamo tantissimo sull’equilibrio ambientale e riflettiamo su quanto impattiamo partendo dall’assunto di non voler fare rinunce, di voler continuare ad avere i nostri agi/possibilità pesando meno sul pianeta terra.
Vi faccio un esempio: le foglie di ngongò.
I Baka le usano come tegole per le capanne, come vassoi, come piatti per mangiare, imbuti, bicchieri, ventagli, presine ignifughe, sacchetti e tante altre cose.
I Baka a differenza dei Villageois non vivono in case di lamiera, ma in
capanne: un bozzolo verde e compatto troppo piccolo per starci in piedi.
Nella capanna c’è una stuoia e un ripiano su cui si cucina la carne.
“Se accendi un fuoco sotto il ripiano fai seccare la carne, scaldi l’ambiente e al tempo stesso tieni lontani gli insetti col fumo. Cuoci la carne e il fumo lascia sul soffitto una pasta oleosa, che incolla le foglie (di ngogò n.d.a.). Nella capanna non entra più una goccia di pioggia. E’ più impermeabile di un preservativo. Più traspirante della pelle.
La ventilazione è ottima anche senza finestre.
E poi è robusta, non c’è tempesta che tenga. Deve caderle un albero sopra perché ceda la struttura reticolare dei rami. […] La capanna è fatta tutta di foresta.”
E se penso ai nostri tetti scoperchiati, accarezzo il pensiero di avere un tetto di foglie.
La caccia per i Baka è caccia di sussistenza. Non si usano armi da fuoco, ma trappole, lance avvelenate, balestre. Non si catturano i cuccioli di scimmia per farne giochi per bambini finché non muoiono di stenti.
Non coltivano molto (manioca, arachidi, plantani), più che altro raccolgono. Non segano indistintamente, raccolgono, tagliano.
“Ogni vita che porti via alla foresta si converte dentro di te, ogni frutto che cogli, ogni animale che uccidi, un pangolino dalla coda lunga, un elefante.
Non devi sentirti in colpa per questo, dicono i Baka. […] Alla fine restituisci sempre quello che hai preso. (E quando muori n.d.a.) sei riciclato come tutte le cose”
Questo libro mi ha ricordato una semplice riflessione fatta guardando il programma di
Rai5 L’arte di arrangiarsi, dove il giornalista Sebastien Perez girava il mondo alla scoperta di come si arrangiano quelle persone che non hanno accesso alla ricchezza. Scoprendo che davvero le difficoltà aguzzano l’ingegno. Guardando il programma ti accorgi come l’arte di arrangiarsi consiste nel riciclare. Nel vedere negli scarti altrui e nelle difficoltà delle opportunità.
Se mi fermo a interrogarmi che risposte mi posso dare? Cosa so fare da sola che mi possa permettere l’autosussistenza? Che sia magari ecocompatibile come l’abilità di mio marito di acchiappare le mosche con le mani per poterle liberare fuori casa? Bah l’unica cosa che mi viene in mente è che dipendo meno dagli altri perché so fare il pane.
Mizzica, mi sa che un paio di mesi con un popolo “primitivo” non guasterebbero affatto!
Aggiungo due parole sul testo. Il libro è scritto benissimo. E’ scorrevole, ben articolato, ti risucchia dentro come la foresta. Ne esci solo quando hai finito di leggerlo.
La foresta ti ha
Storia di un'iniziazione
Collana: Le Torpedini
Pagine: 192
Prezzo di copertina: EUR 16,50
Genere: Narrativa italiana / Reportage / Fuga dal mondo
Prima edizione: Gennaio 2012
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