PUNTO CRUCIALE PER IL FUTURO DEI PROGRAMMI SPAZIALI
di Prisco Piscitelli *, Vittorio Cotronei § e Maria Luisa Brandi *
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Dr Prisco Piscitelli |
La gravità. La gravità è una delle quattro forze fondamentali della fisica, costituisce una proprietà dell'universo dipendente dalla massa dei corpi e inversamente proporzionale al quadrato della distanza fra essi. L'effetto più evidente e più immediatamente apprezzabile della gravità nella nostra vita quotidiana è la forza di attrazione che ci tiene ben saldi sulla superficie terrestre e che sperimentiamo come sensazione di peso. Tutte le leggi che governano il movimento sono strettamente dipendenti dal campo gravitazionale in cui il moto stesso si compie: la caduta di un qualsiasi corpo, il moto di una freccia, di un proiettile o dei pianeti sono tutti governati dalle leggi della gravità. La gravità è inoltre responsabile anche di numerosi fenomeni fisici, il cui rapporto con essa è meno intuitivo come ad esempio la spinta idrostatica (o galleggiamento). La forza di gravità influenza anche il corpo umano, governando la capillarità dei vasi ematici, i flussi laminari, l'osmosi e molti altri processi, ma il suo impatto più evidente si ha sicuramente sull’apparato muscolo-scheletrico.
Cosa accade in condizioni di microgravità. Il mantenimento di uno scheletro in grado di resistere agli stress della vita quotidiana (a cominciare dallo stare in piedi o dal muoversi sostenendo tutte le altre strutture corporee) è strettamente dipendente dallo stimolo che sullo stesso scheletro esercitano le forze meccaniche gravitazionali ad esso applicate. Se eliminiamo la forza gravitazionale che agisce longitudinalmente sull’apparato osteo-muscolare (come avviene nei viaggi spaziali e nei soggetti allettati per lunghi periodi) si alterano i meccanismi di equilibrio tra fisiologico riassorbimento osseo e neoformazione ossea, con conseguente perdita di osso, che si accompagna ad ipotrofia muscolare da mancata sollecitazione. Nei viaggi spaziali gli astronauti vengono a trovarsi in condizioni di microgravità (giacchè la totale assenza di gravità o gravità zero è una situazione solo teorica). Già nelle prime due settimane una grande quantità di calcio viene mobilizzato dalle osse ed espulso nelle urine (la cosiddetta ipercalciuria). E’ come se l’organismo percepisse il venir meno delle forze gravitazionali applicate longitudinalmente allo scheletro (che sperimentiamo sulla terra) ed agisse di conseguenza alleggerendo un apparato scheletrico sovradimensionato rispetto alle nuove condizioni in cui il corpo viene a trovarsi (microgravità). Allo stesso modo, i muscoli, non sottoposti all’abituale carico di lavoro diminuiscono in volume e vanno incontro ad ipotrofia. Anche altre funzioni corporee si modificano: per esempio si assiste ad una diversa ripartizione dei liquidi nei diversi compartimenti dell’organismo, che si associano a variazioni dell’assetto cardio-vascolare.
Un problema nuovo. Finora le missioni spaziali con impiego di equipaggi umani (dalle missioni Apollo fino a quelle Shuttle) avevano una durata media di circa 14 giorni, un tempo adeguato per osservare un’immediato e rapido aumento dell’escrezione urinaria di calcio (ipercalciuria dovuta alla mobilizzazione di calcio dalle ossa), ma non sufficiente a provocare un reale impoverimento della massa ossea degli astronauti. Le cose sono cambiate da quando sono cominciate le missioni a bordo della stazione spaziale internazionale (ISS), che prevedono una permanenza a bordo di circa sei mesi (arco temporale adeguato affinché si osservino iniziali alterazioni osteo-muscolari). La stazione ISS si trova a circa 360 km dalla superficie terrestre e compie più di 15 orbite al giorno intorno al nostro paineta ad una velocità di 25.685,7 Km/h. All’interno dell’ISS gli astronauti operano e vivono in condizioni di microgravità, ma allo stesso tempo svolgono una ridotta attività fisica che richiede solo un minimo lavoro muscolare. Il processo di decalcificazione ossea sarebbe dunque il risultato dell’azione di una ridottissima forza di gravità combinata con l’ipotrofia muscolare. Secondo una prima ipotesi, la causa di questa duplice stimolazione negativa, si riduce l’attività degli osteoblasti (le cellule deputate a depositare la matrice ossea di nuova formazione), mentre aumenta l’azione degli osteoclasti (le cellule che riassorbono l’osso esistente affinché esso possa essere rinnovato). Lo squilibrio tra la neoformazione ossea ed il riassorbimento osseo genera un bilancio negativo che innesca l’osteoporosi, definita come un processo patologico caratterizzato da una ridotta resistenza ossea che espone l’individuo ad un aumentato rischio di frattura. E’ esattamente quello che avviene nelle donne dopo la menopausa.
Avanzare insieme nello studio dell’osteoporosi spaziale e di quella terrestre. Gli studi condotti sulle donne in menopausa hanno dimostrato che l’assunzione regolare di integratori di calcio e vitamina D3 (che ne aumenta l’assorbimento intestinale) è in grado di prevenire la perdita di massa ossea nella misura dell’1% all’anno. Al contrario, gli esperimenti condotti sugli astronauti della missione MIR97, indicano che anche l’assunzione di elevate dosi di calcio e vitamina D3 non è in grado di frenare la riduzione dell’attività osteoclastica e l’aumento del reclutamento degli osteoclasti. Dunque le supplementazioni efficaci sulla terra nel contrastare l’osteoporosi non sarebbero altrettanto d’aiuto nello spazio. Nemmeno l’esercizio fisico o i farmaci sembrerebbero garantire gli stessi benefici sperimentabili sulla terra. Nell’esperimento “terranauti”, nei volontari sani obbligati a rimanere a letto per diversi mesi (per simulare condizioni di inattività e mancata stimolazione sull’apparato muscolo-scheletrico molto simili a quelle sperimentate dagli astronauti) si osservava una perdita di massa ossea del 15%, che non poteva essere arrestata nemmeno con programmi intensivi di esercizio fisico in posizione supina. In un successivo esperimento, 90 uomini sono stati obbligati ad un riposo forzato a letto fino a 36 settimane consecutive. Come osservato negli astronauti, l’escrezione urinaria di calcio aumentava rapidamente, fino a raggiungere un picco di 100 mg al giorno entro la sesta settimana; a partire dalla prima-seconda settimana si osservava dapprima un livello di ipercalciuria costante e successivamente si assisteva ad una riduzione progressiva dell’escrezione di calcio con le urine. Tuttavia, la calciuria non ritornava mai ai valori basali osservati nei soggetti prima dell’esperimento. L’esperimento dimostrava che il calcio veniva espulso con le urine già a partire dalle prime due settimane e l’ipercalciuria persisteva per tutte le 36 settimane esaminate, provocando una perdita del 5% di massa ossea ogni mese. E’ per questo che le osteoporosi ipercalciuriche che si verificano “a terra” e ben note agli endocrinologi possono costituire un valido modello di approfondimento dei problemi ossei nello spazio (e viceversa). Ciò è particolarmente importante perché qualsiasi tentativo di limitare la perdita di massa ossea nello spazio (mediante l’esercizio fisico, compressioni sullo scheletro o somministrazione di calcio, fosfati, calcitonia o farmaci bisfosfonati) si è rivelato finora fallimentare. Nemmeno i bisfosfonati (potenti inibitori dell’attività osteoclastica) riuscivano ad impedire completamente il processo di erosione ossea e la perdita di trabecole dovute all’aumento del reclutamento di osteoclasti in esperimenti condotti su animali (studiati in condizioni di prolungata inattività per 12 mesi consecutivi).
Gli esperimenti condotti nelle missioni spaziali. La riduzione della forza di gravità sperimentata dagli astronauti durante le missioni spaziali provoca indiscutibilmente delle alterazioni dell’omeostasi del calcio nell’organismo. Gli astronauti delle missioni Gemini, Apollo e Skylab sperimentavano un’aumentata escrezione di calcio nelle urine. Dopo 84 giorni di permanenza nello spazio, gli astronauti delle missioni Skylab presentavano una riduzione della massa ossea pari al 4%, con un processo simile in tutto e per tutto a quanto osservabile a terra in caso di prolungata immobilità. Resta anche da chiarire fino a che punto le alterazioni ossee qualitative (perdita e assottigliamento delle trabecole osse, aumento degli spazi inter-trabecolari ecc.) e quantitative (densità minerale ossea) sperimentate dagli astronauti possano essere validamente corrette dopo il loro rientro a terra. E’ anche possibile che l’alterazione dell’attività cellulare degli osteoblasti e degli osteoclasti sperimentata dagli astronauti possa determinare una perdita ossea irreversibile, con conseguente prematura insorgenza di osteoporosi senile a distanza di molti anni dalle missioni spaziali.
I ratti studiati all’interno di biosatelliti russi dimostravano un processo osteoporotico in cui la componente predominante era la riduzione della neoformazione ossea. Negli animali esaminati, la perdita di osso trasecolare sembrava un processo non reversibile dopo il rientro a terra (al contrario dell’osso di tipo corticale, che sembrava suscettibile di recupero).
Conclusioni. L’osteoporosi degli astronauti rappresenta quindi uno dei maggiori ostacoli al progresso dei programmi spaziali, giacchè sarebbe oltremodo pericoloso esporre gli astronauti a permanenze molto lunghe in ambiente microgravitario: per andare e rientrare da Marte attualmente ci vorrebbero circa tre anni, di sicuro un tempo sufficiente per causare gravi danni all’apparato osteo-articolare dell’equipaggio. Tuttavia, la patogenesi e i processi responsabili dell’osteoporosi negli astronauti non sono ancora stati chiariti e necessitano approfondimenti in tempi ragionevoli.
L’agenzia spaziale europea è fortemente impegnata in questo campo e intende favorire la collaborazione con il mondo scientifico e medico in particolare affinché il nostro Paese possa fornire contributi importanti alla risoluzione di questo problema di grande rilevanza per il futuro della nostra permanenza nello spazio. In quest’ottica e in collaborazione con l’ESCEO (la società scientifica europea dell’osteoporosi) si sta avviando un gruppo di lavoro dedicato a risolvere questo problema…perché l’uomo possa continuare a volare lontano.
* Università di Firenze, Dipartimento di Medicina Interna
SOD Malattie del Metabolismo Minerale e Osseo, AOU Careggi
* European Society for Clinical and Epidemiological aspects of Osteoporosis (ESCEO)
§ Agenzia Spaziale Europea (ESA)
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