Un lettore ci scrive:
[... su youtube c'è un piccolo dibattito riguardo alla definizione di anno luce. Alcuni utenti dicono che l'anno luce serve a misurare le distanze; mentre altri dicono che serve a misurare il tempo. un utente, in particolare ha scritto: "Albert Einstein parla di SPAZIOTEMPO in quanto lo Spazio e il Tempo sono intrecciati in maniera indissolubile, per ogni unità di misura del Tempo si traduce nella unità di misura dello Spazio e viceversa - Per cui l'Anno Luce risulta essere UN SISTEMA DI MISURA NON BASATO SULLA DISTANZA IN SE', MA NEL TEMPO" ...]
Entriamo volentieri nel dibattito. Per entrare direttamente in tema, dobbiamo innanzitutto conoscere un po' di storia della fisica.
La scoperta della costanza della velocità della luce rispetto ad un qualunque sistema di riferimento risale al 1887. Proprio in quell'anno Michelson e Morley vollero verificare l'effettiva presenza nel vuoto di una particolare "essenza materiale" il cosiddetto etere. Infatti nel 1864 Maxwell scrisse "A Dynamical Theory of the Electromagnetic Field" dove per la prima volta venne proposto che la natura ondulatoria della luce fosse la causa prima di tutti i fenomeni elettromagnetici.
In quegli anni l'unica teoria fisica ben nota era la meccanica, così dato che un'onda come il suono in particolare o un'onda elastica in generale, ha bisogno di un mezzo per propagarsi, anche le onde elettromagnetiche di Maxweel dovevano avere bisogno di un particolare mezzo per la loro propagazione, appunto era stato proposto l'etere.
L'esperimento di Michelson e Morley (foto) era stato strutturato per dimostrarne la presenza: assumendo, com'era noto in meccanica, che un'onda propagandosi in un mezzo materiale variasse la propria velocità rispetto ad un osservatore in moto nel mezzo stesso, un raggio di luce non doveva avere la stessa velocità rispetto ad un osservatore se questo si fosse mosso verso il raggio di luce o in direzione opposta, un po' quello che accade alla velocità di un aereo rispetto al terreno se viaggia in favore di vento oppure cotrovento.
Purtoppo per i due scienziati (purtroppo si fa per dire) ma fortunatamente per la scienza, qualcosa di nuovo era in agguato. L'esperimento venne ripetutto centinaia di volte ma nessuna differenza significativa venne rilevata e questo anche nei test più recenti. La conclusione è che la luce ha sempre la stessa velocità rispetto a qualunque osservatore in movimento e l'etere, almeno per come era stato pensato allora non esiste.
La luce quindi rispetto alle onde meccaniche fa eccezione, non si propaga attraverso un mezzo ma bensì nel vuoto sempre con la stessa velocità. Proprio per spiegare questa strana invarianza, Lorentz propose le famose trasformazioni spazio-temporali che portano il suo nome. Inizialmente, nel tentativo di salvare l'etere, Lorentz le ottenne per via empirica solo per giustificare i risultati dell'esperimento di Michelson e Morley, poi fù invece Einstein che le dimostrò rigorosamente a partire dai postulati della relatività. Ora le trasformazioni "di Lorentz" sono diventate la base di tutta la teoria della relatività ristretta pubblicata da Einstein nel 1905.
Intanto in campo cosmologico proprio in quegli anni venivano studiate e approfondite le nebule, scoprendo che alcuni di quegli oggetti (chiamati universi isola) non erano altro che altre galassie esterne alla nostra. Tra il 1925 e il 1929 poi, Edwin Hubble scoprì con precise osservazioni che ogni oggetto esterno presentava nel proprio spettro luminoso un effetto doppler, uno spettro con un redshift (spostamento delle linee spettrali atomiche degli elementi presenti nella fotosfere stellari verso il rosso). Lo spostamento era pari a quello che avrebbe potuto presentare una sorgente luminosa in allontanamento dall'osservatore ad una determinata velocità. Hubble aveva scoperto quello che ora chiamiamo espansione dell'Universo. Misure precise dimostrarono senza ombra di dubbio che c'è una proporzione tra distanza e spostamento verso il rosso
v = H x d ,
quindi tra velocità e distanza dell'oggetto, una proporzione che con il passare degli anni divenne un vero e proprio indicatore di distanza per gli oggetti extragalattici.
Il valore della costante H, ora nota come costante di Hubble, permette di dare una stima del tempo trascorso in anni dall'istante iniziale del nostro universo, anche se il valore esatto è ancora un po' controverso.
Torniamo però alla distanza. Pur non essendoci certezze sul come sia veramente nato l'uso di misurare la distanza in termini di tempo, sicuramente possiamo prendere due fatti certi come riferimento:
1. La luce ha sempre la stessa velocità rispetto ad un qualunque osservatore, quindi trasporta la sua informazione in un tempo che dipende solo dalla distanza
2. Nella legge di Hubble la distanza dipende dalla velocità di recessione dell'oggetto celeste:
d = v x 1/ H
dove 1/H misura gli anni trascorsi dall'origine dell'universo e ha quindi le dimensioni di un tempo misurato in anni.
Viene perciò istintivo pensare di misurare la distanza di un oggetto molto lontano dall'osservatore in anni, infatti se assumiamo nella relazione di Hubble per velocità quella della luce e per tempo quello impiegato dalla luce a raggiungere l'osservatore misurato in anni, al di là dell'origine all'uso di questa unità, d in anni luce misura in astronomia non il tempo bensì la distanza di un oggetto lontano dall'osservatore.
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