QUALI SONO LE DOTI DEL BUON GIORNALISTA SCIENTIFICO?
La domanda vibrava nell'aria da alcuni giorni...
Abbiamo infatti letto e ascoltato di tutto, nei giorni scorsi, sui presunti batteri alieni, sbandierati come notizia del secolo.
E la domanda si è ripresentata nei giorni successivi a proposito del presunto asse terrestre spostato.
E di nuovo per tutto ciò che si è detto, e non detto, a proposito di Tsunami e centrali nucleari.
Invece di informare correttamente il grande pubblico molti giornalisti hanno pensato bene di cavalcare il sensazionalismo, e di usare il terrorismo psicologico piuttosto che cercare fonti corrette e usare un linguaggio prudente.
E' per questo che, come scrive Adam Bly, fondatore di Seed Magazine, "cambiare le regole della comunicazione della scienza è obbligatorio".
E la domanda si è ripresentata nei giorni successivi a proposito del presunto asse terrestre spostato.
E di nuovo per tutto ciò che si è detto, e non detto, a proposito di Tsunami e centrali nucleari.
Invece di informare correttamente il grande pubblico molti giornalisti hanno pensato bene di cavalcare il sensazionalismo, e di usare il terrorismo psicologico piuttosto che cercare fonti corrette e usare un linguaggio prudente.
E' per questo che, come scrive Adam Bly, fondatore di Seed Magazine, "cambiare le regole della comunicazione della scienza è obbligatorio".
Quali nuove regole?
Abbiamo rivolto il quesito a un ragazzo: uno che la scienza, letteralmente, la "divora". Come molti dei suoi coetanei. Perché è noto che i principali appassionati di argomenti scientifici sono proprio i più giovani.
Marco Cameriero, 15 anni, è da poco reduce da un riconoscimento prestigioso: The Code Project Competition. Marco è il più giovane vincitore al mondo in questo concorso internazionale.
"Cosa fa di un giornalista, un buon giornalista scientifico?".
Buona lettura!Marco Cameriero, 15 anni, è da poco reduce da un riconoscimento prestigioso: The Code Project Competition. Marco è il più giovane vincitore al mondo in questo concorso internazionale.
"Cosa fa di un giornalista, un buon giornalista scientifico?".
[Nella foto: Marco Cameriero con il papà Donato]
In una società che culturalmente si è elevata soprattutto negli ultimi 30 anni, ci sono sempre più persone desiderose di conoscere ed apprendere, c’è una richiesta di informazioni enorme e l’informazione stessa è diventata un “bene-bisogno” che va da una parte elargito, dall’altra “consumato”.
Quale bisogno sentito da molti, l’informazione deve rispondere alle leggi della domanda ed offerta ed il giornalista dovrebbe fare da tramite e da anello di comunicazione tra chi detiene l’informazione e chi la consuma. Ma l’informazione, soprattutto quella scientifica, risulta molto variegata e intrisa di diverse sfumature strettamente legate alla soggettività ed al non sempre presente riscontro scientifico.
Si fa arduo il compito del giornalista che, prima di tutto, queste informazione deve trovarle, successivamente verificarle ed analizzarle più obiettivamente possibile ed infine decidere il “taglio” più opportuno da adottare nella distribuzione della notizia, considerando la natura della notizia stessa ed il target a cui vuole arrivare.
Ogni buon giornalista ha le sue fonti e da esse cerca di trarre il maggior numero di informazioni da ridistribuire successivamente.
Ci sono fonti autorevoli che seguono standard scientifici e che diffondono solo informazioni riscontrate ed accertate (vedi Scienze o Nature…). Cosa dovrebbe fare il giornalista? Diffondere e ridistribuire solo notizie fondate accreditate da fonti autorevoli? Sicuramente è cosa “buona e giusta” che diffonda tali notizie, ma credo che questo non sia sufficiente per vari motivi, primo tra tutti (almeno il più importante per me) il fatto che spesso le “fonti accreditate” hanno un atteggiamento corporativo che difficilmente da spazio al piccolo ricercatore ed alle sue “strampalate” (ma forse solo e semplicemente da verificare scientificamente) scoperte o ai suoi “fantasiosi” (nuovi pensieri ed idee che andrebbero discusse, testate e verificate) teoremi.
L’aggrapparsi solo a quello che è certo non aprendo la mente anche al nuovo, potrebbe precludere il cammino stesso dell’evoluzione scientifica. E’ storicamente provato che le più grandi scoperte inizialmente hanno sempre incontrato lo scetticismo (ottimo filtro, ma che ogni tanto va anche sostituito) di coloro che tendono ad adagiarsi su certezze acquisite e che non vogliono nemmeno provare a mettere in discussione, o per pigrizia mentale o peggio, per interessi e convenienze personali.
Si parla tanto di libertà di informazione, ma quale libertà ci può essere se le notizie provengono solo da poche ristrette fonti. Pubblicare un mio articolo su di una notizia data da Scienze o Nature, non fa di me un giornalista scientifico ne tanto meno un comunicatore; tutti possiamo fare un bel copia/incolla e metterci l’anima in pace in quanto certi di non aver diffuso notizie errate.
Quindi - questo è un mio parere - il buon giornalista scientifico dovrebbe pubblicare sia notizie riscontrate scientificamente, ma anche quelle che ancora un riscontro non ce l’hanno, facendo molta attenzione però nel presentare le notizie con modalità diverse e chiarezza assoluta: segnalare sempre la fonte originale e qualora la notizia non fosse comprovata e verificata, metterlo bene in evidenza e magari proponendosi di seguirne gli sviluppi ed eventualmente, a notizia verificata dalla comunità scientifica, comunicare ai propri lettori/ascoltatori i risultati delle analisi, dei test fatti, delle verifiche e/o riscontri. Quindi, l’unica cosa che non deve fare è pubblicare quelle notizie già verificate e trovate prive di fondamento scientifico? No.
Se la “bufala” o comunque la notizia errata ha già avuto modo di diffondersi tramite canali diversi e grazie alla superficialità o a qualche scopo “poco limpido” di personaggi non certo interessati alla reale divulgazione scientifica, il giornalista, il buon giornalista, ha il dovere di “denunciare” la circolazione di informazioni errate che possono creare confusione se non addirittura alterare la consapevolezza della realtà scientifica. Ma quante cose deve fare un povero giornalista scientifico? Molte e soprattutto provare a farle bene, almeno coscienziosamente, perché sa bene (dovrebbe sapere) che da quello che lui scrive può dipendere la giusta crescita culturale e scientifica dell’utente che lo legge o ascolta. Il giornalista contribuisce a formare quella che viene chiamata opinione pubblica o anche coscienza comune.
Una grande responsabilità!
Ecco perché per fare il giornalista scientifico deve trovare, controllare e solo dopo diffondere le notizie.
Fondamentale è la modalità di diffusione delle informazioni che deve tener conto del mezzo di divulgazione utilizzato, del target a cui ci si rivolge.
Inizialmente avevo parlato di informazioni che si “consumano” e non a caso ho usato questo termine in quanto credo che la stragrande maggioranza degli utenti cerca dati e notizie in grossa quantità ma, non potendo, o non volendo, approfondirle tutte, decide quali meritino di un ulteriore ricerca e quali no. Di questo il buon giornalista deve tener conto, egli deve essere in grado di “tastare il polso” della sua utenza come farebbe uno psicologo o un sociologo, deve fare una prima azione di filtraggio delle notizie, una catalogazione ed un’assegnazione di priorità, perché sovraccaricare di informazioni di qualsiasi genere e completezza l’utente, rischierebbe di mandarlo in overflow con la conseguenza che l’utente rimarrebbe insoddisfatto e soprattutto non avrebbe avuto tempo e modo di approfondire.
Siccome non possiamo conoscere tutto di tutto, forse è meglio conoscere poche cose ma bene.
Il linguaggio usato: altro elemento fondamentale. Meglio un linguaggio molto tecnico e dettagliato o uno più “leggero” che catturi l’attenzione e spinga magari ad un approfondimento successivo?
E dove “spingere” l’utente a cercare nuove fonti per l’approfondimento? Non sarebbe forse meglio creare insieme all’utente un percorso comune che progressivamente gli dia modo di comprendere meglio e più approfonditamente magari con la creazione di apposite “rubriche e/o discussioni”?
Anche qui la scelta spetta al giornalista che ha sicuramente bene in mente il suo obiettivo (si spero non sia solo economico) e sa che per poterlo raggiungere deve “adeguarsi” ai suoi lettori/ascoltatori.
Ma per conoscere le esigenze dei suoi lettori ha bisogno di feedback, bene, allora sarà suo compito far si che gli utenti siano invogliati ad esprimersi.
Voglio concludere provando a guardare la problematica della comunicazione scientifica dal punto di vista che mi è più congeniale; quello dell’utente fruitore di informazioni.
Come posso distinguere un giornalista/divulgatore scientifico affidabile da uno che invece mi racconta “favole” mascherate da Scienza farcendole di “effetti speciali” il cui scopo è solo quello di attrarmi e confondermi? Intanto, un primo inizio è quello di provare a fare un piccolo check-up al divulgatore, al mezzo che usa e come lo usa, e vedere se corrisponde alla figura professionale precedentemente descritta, o comunque a quella ufficialmente riconosciuta da fonti incontestabili.
Poi… non dare mai niente per scontato; dubbi e domande, questo è un buon inizio e per fare questo occorre che il mio groviglio di sensori sia sempre collegato e connesso.
Qualche piccolo campanello d’allarme dovrebbe suonare quando mi trovo di fronte a sensazionalismi eccessivi, ad un uso smodato di superlativi, quando la notizia prende connotazioni di mistero che solo l’autore dell’articolo o trasmissione dice di essere in grado di risolvere. Quando la notizia non è accompagnata dalla segnalazione della fonte originaria mi impedisce di fare una verifica; non va bene.
Assolutamente “fuggire” quando il giornalista esordisce con frasi del tipo:
Il giornalista, per quanto possa essere esperto, non è uno scienziato (nella maggioranza dei casi), nel momento in cui si attribuisce dei meriti scientifici, secondo me, “comincia a puzzare”.
Il giornalista le notizie dovrebbe diffonderle non crearle.
Quale bisogno sentito da molti, l’informazione deve rispondere alle leggi della domanda ed offerta ed il giornalista dovrebbe fare da tramite e da anello di comunicazione tra chi detiene l’informazione e chi la consuma. Ma l’informazione, soprattutto quella scientifica, risulta molto variegata e intrisa di diverse sfumature strettamente legate alla soggettività ed al non sempre presente riscontro scientifico.
Si fa arduo il compito del giornalista che, prima di tutto, queste informazione deve trovarle, successivamente verificarle ed analizzarle più obiettivamente possibile ed infine decidere il “taglio” più opportuno da adottare nella distribuzione della notizia, considerando la natura della notizia stessa ed il target a cui vuole arrivare.
Ogni buon giornalista ha le sue fonti e da esse cerca di trarre il maggior numero di informazioni da ridistribuire successivamente.
Ci sono fonti autorevoli che seguono standard scientifici e che diffondono solo informazioni riscontrate ed accertate (vedi Scienze o Nature…). Cosa dovrebbe fare il giornalista? Diffondere e ridistribuire solo notizie fondate accreditate da fonti autorevoli? Sicuramente è cosa “buona e giusta” che diffonda tali notizie, ma credo che questo non sia sufficiente per vari motivi, primo tra tutti (almeno il più importante per me) il fatto che spesso le “fonti accreditate” hanno un atteggiamento corporativo che difficilmente da spazio al piccolo ricercatore ed alle sue “strampalate” (ma forse solo e semplicemente da verificare scientificamente) scoperte o ai suoi “fantasiosi” (nuovi pensieri ed idee che andrebbero discusse, testate e verificate) teoremi.
L’aggrapparsi solo a quello che è certo non aprendo la mente anche al nuovo, potrebbe precludere il cammino stesso dell’evoluzione scientifica. E’ storicamente provato che le più grandi scoperte inizialmente hanno sempre incontrato lo scetticismo (ottimo filtro, ma che ogni tanto va anche sostituito) di coloro che tendono ad adagiarsi su certezze acquisite e che non vogliono nemmeno provare a mettere in discussione, o per pigrizia mentale o peggio, per interessi e convenienze personali.
Si parla tanto di libertà di informazione, ma quale libertà ci può essere se le notizie provengono solo da poche ristrette fonti. Pubblicare un mio articolo su di una notizia data da Scienze o Nature, non fa di me un giornalista scientifico ne tanto meno un comunicatore; tutti possiamo fare un bel copia/incolla e metterci l’anima in pace in quanto certi di non aver diffuso notizie errate.
Quindi - questo è un mio parere - il buon giornalista scientifico dovrebbe pubblicare sia notizie riscontrate scientificamente, ma anche quelle che ancora un riscontro non ce l’hanno, facendo molta attenzione però nel presentare le notizie con modalità diverse e chiarezza assoluta: segnalare sempre la fonte originale e qualora la notizia non fosse comprovata e verificata, metterlo bene in evidenza e magari proponendosi di seguirne gli sviluppi ed eventualmente, a notizia verificata dalla comunità scientifica, comunicare ai propri lettori/ascoltatori i risultati delle analisi, dei test fatti, delle verifiche e/o riscontri. Quindi, l’unica cosa che non deve fare è pubblicare quelle notizie già verificate e trovate prive di fondamento scientifico? No.
Se la “bufala” o comunque la notizia errata ha già avuto modo di diffondersi tramite canali diversi e grazie alla superficialità o a qualche scopo “poco limpido” di personaggi non certo interessati alla reale divulgazione scientifica, il giornalista, il buon giornalista, ha il dovere di “denunciare” la circolazione di informazioni errate che possono creare confusione se non addirittura alterare la consapevolezza della realtà scientifica. Ma quante cose deve fare un povero giornalista scientifico? Molte e soprattutto provare a farle bene, almeno coscienziosamente, perché sa bene (dovrebbe sapere) che da quello che lui scrive può dipendere la giusta crescita culturale e scientifica dell’utente che lo legge o ascolta. Il giornalista contribuisce a formare quella che viene chiamata opinione pubblica o anche coscienza comune.
Una grande responsabilità!
Ecco perché per fare il giornalista scientifico deve trovare, controllare e solo dopo diffondere le notizie.
Fondamentale è la modalità di diffusione delle informazioni che deve tener conto del mezzo di divulgazione utilizzato, del target a cui ci si rivolge.
Inizialmente avevo parlato di informazioni che si “consumano” e non a caso ho usato questo termine in quanto credo che la stragrande maggioranza degli utenti cerca dati e notizie in grossa quantità ma, non potendo, o non volendo, approfondirle tutte, decide quali meritino di un ulteriore ricerca e quali no. Di questo il buon giornalista deve tener conto, egli deve essere in grado di “tastare il polso” della sua utenza come farebbe uno psicologo o un sociologo, deve fare una prima azione di filtraggio delle notizie, una catalogazione ed un’assegnazione di priorità, perché sovraccaricare di informazioni di qualsiasi genere e completezza l’utente, rischierebbe di mandarlo in overflow con la conseguenza che l’utente rimarrebbe insoddisfatto e soprattutto non avrebbe avuto tempo e modo di approfondire.
Siccome non possiamo conoscere tutto di tutto, forse è meglio conoscere poche cose ma bene.
Il linguaggio usato: altro elemento fondamentale. Meglio un linguaggio molto tecnico e dettagliato o uno più “leggero” che catturi l’attenzione e spinga magari ad un approfondimento successivo?
E dove “spingere” l’utente a cercare nuove fonti per l’approfondimento? Non sarebbe forse meglio creare insieme all’utente un percorso comune che progressivamente gli dia modo di comprendere meglio e più approfonditamente magari con la creazione di apposite “rubriche e/o discussioni”?
Anche qui la scelta spetta al giornalista che ha sicuramente bene in mente il suo obiettivo (si spero non sia solo economico) e sa che per poterlo raggiungere deve “adeguarsi” ai suoi lettori/ascoltatori.
Ma per conoscere le esigenze dei suoi lettori ha bisogno di feedback, bene, allora sarà suo compito far si che gli utenti siano invogliati ad esprimersi.
Voglio concludere provando a guardare la problematica della comunicazione scientifica dal punto di vista che mi è più congeniale; quello dell’utente fruitore di informazioni.
Come posso distinguere un giornalista/divulgatore scientifico affidabile da uno che invece mi racconta “favole” mascherate da Scienza farcendole di “effetti speciali” il cui scopo è solo quello di attrarmi e confondermi? Intanto, un primo inizio è quello di provare a fare un piccolo check-up al divulgatore, al mezzo che usa e come lo usa, e vedere se corrisponde alla figura professionale precedentemente descritta, o comunque a quella ufficialmente riconosciuta da fonti incontestabili.
Poi… non dare mai niente per scontato; dubbi e domande, questo è un buon inizio e per fare questo occorre che il mio groviglio di sensori sia sempre collegato e connesso.
Qualche piccolo campanello d’allarme dovrebbe suonare quando mi trovo di fronte a sensazionalismi eccessivi, ad un uso smodato di superlativi, quando la notizia prende connotazioni di mistero che solo l’autore dell’articolo o trasmissione dice di essere in grado di risolvere. Quando la notizia non è accompagnata dalla segnalazione della fonte originaria mi impedisce di fare una verifica; non va bene.
Assolutamente “fuggire” quando il giornalista esordisce con frasi del tipo:
“Io… La nostra redazione… abbiamo risolto… abbiamo scoperto…”
Il giornalista, per quanto possa essere esperto, non è uno scienziato (nella maggioranza dei casi), nel momento in cui si attribuisce dei meriti scientifici, secondo me, “comincia a puzzare”.
Il giornalista le notizie dovrebbe diffonderle non crearle.
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