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SCIENZIATI: LIBERI NELLA RICERCA, LIMITATI NEL PARLARE

Mentre a ComunicareFisica 2010 si è tanto discusso sul ruolo dei blog scientifici di fare outreach (termine caro all'INFN ma mutuato più dal mondo del marketing che della ricerca e adottato da Richard Henry Tizard per aumentare gli studenti iscritti a Cambridge) mi sembra doveroso ricordare ciò che scriveva Paolo Amoroso a proposito della libertà di comunicazione nel mondo scientifico.

Una premessa. Mentre nei commenti del blog di Marco Delmastro si discute sul ruolo nella comunicazione istituzionale della scienza, qui avevamo postato un video di un paio d'anni fa in cui Tommaso Dorigo, ricercatore del CERN, spiegava perché i ricercatori dovrebbero imparare a usare i blog.

I ricercatori italiani che hanno un blog vengono spesso guardati con diffidenza dai colleghi per questa loro "intraprendenza", nonostante la loro intenzione sia nobile: colmare il divario tra chi fa ricerca e il grande pubblico.

Scriveva Amoroso il 1 aprile 2009:
"Ho parlato con alcuni scienziati, tecnici e operatori di grandi progetti di ricerca che affidano loro macchine e tecnologie costosissime. Hanno espresso una frustrazione comune, e mi è sembrato di percepire opinioni simili da altri".

"Questi scienziati hanno una buona autonomia tecnica, ma vengono controllati e trattati come bambini nelle loro dichiarazioni pubbliche, che devono spesso essere approvate e concordate. Possono imparare a usare macchine complesse e indagare fenomeni naturali misteriosi, ma non sono ritenuti in grado di parlare autonomamente senza mettere in imbarazzo i propri istituti".

Nel mondo della ricerca c'è ancora la presunzione che giornalisti e gente comune non si accorgano di questo gap. La torre d'avorio in cui spesso si trincerano le istituzioni non fa bene alla scienza e alla sua comunicazione/divulgazione.

Anche il grande pubblico, infatti, si sta accorgendo che non c'è veramente libertà di comunicare nel mondo scientifico. I dati scientifici non sono sempre messi a disposizione della comunità. Nonostante siano finanziati da fondi pubblici.
A questo proposito fece scalpore non molto tempo fa la decisione di una scienziata come Ilaria Capua di rendere pubblici i dati scientifici raccolti, in questo caso, sul virus H5N1 dell'influenza aviaria. Scatenando un dibattito internazionale nella comunità scientifica: "dove si traccia la linea fra quelli che possono essere considerati dati di un ricercatore o di un gruppo e quelli invece della comunità scientifica intera?"

Immagine apparsa sul blog di Nature


Da una parte c'è la comunicazione scientifica tra scienziati, dall'altra la divulgazione e promozione della scienza tra scienziati e pubblico.

Perfino ambienti più blindati come l'Esercito americano si dimostrano più aperti rispetto agli ambienti accademici.

O almeno questo è quello che viene percepito dal pubblico esterno.

Sempre un anno fa Amoroso pubblicava questo pezzo.

La US Air Force Public Affairs Agency ha pubblicato un video su come i militari dell'aeronautica americana usano i social media per tenersi informati e informare gli altri.

Questi ambienti militari, tradizionalmente vincolati alla riservatezza, hanno dunque fiducia che membri delle gerarchie inferiori non autorizzati possano parlare pubblicamente senza mettere in difficoltà la forza armata, anche in situazioni delicate come azioni operative e crisi internazionali.

L'aspetto più interessante del video seguente, è l'invito a tutto il personale a partecipare alla comunicazione perché può farlo meglio di altri e offrire il proprio punto di vista.

Siamo arrivati al punto che dobbiamo imparare dai militari come si fa comunicazione?






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