IL NEUTRINO E LA BALENA
Esattamente 79 anni fa, il 30 dicembre 1930, il fisico tedesco Wolfgang Pauli ipotizzò per la prima volta l’esistenza del neutrino, una particella necessaria per spiegare la carenza di energia osservata nel decadimento beta. In questo processo nucleare un protone decade in un neutrone, un positrone e un neutrino elettronico (oppure un neutrone da luogo a un protone, un elettrone e un antineutrino elettronico), sebbene bisogna ricordare che in natura esistono anche il neutrino muonico e tauonico. Il primo (l’elettronico) è generalmente considerato di bassa energia ed è prodotto dal Sole e da altri fenomeni cosmici mentre i secondi, di più alta energia, vengono generati da cataclismi cosmici estremamente violenti come le supernove o il Big Bang.
Considerando il fatto che un neutrino interagisce molto poco con la materia ordinaria, rilevare la sua presenza è davvero un’ardua impresa (sebbene negli ultimi anni si sono realizzati passi da gigante in questo senso). Solitamente gli strumenti dedicati questo tipo di studio si trovano in laboratori sotterranei dove la presenza di rocce sovrastanti riduce l’effetto della radiazione cosmica, che altrimenti potrebbe aggiungersi al flusso di neutrini potenzialmente rilevabile.
Tuttavia, la ricerca costante di tecniche alternative per individuare indizi sull’esistenza di queste particelle ha portato i ricercatori a “inventarsi” un metodo basato sulla rilevazione mediante l’uso di strumenti posizionati sul fondo del mare e nei quali molti di loro hanno depositato le loro speranze. Uno di loro è Giorgio Riccobene, un fisico delle particelle dell’Istituto Nazionale Italiano di Fisica Nucleare (INFN) di Catania. Nel 2002 Riccobene fu incaricato di sovrintendere i lavori dell’Ocean Noise Detection Experiment (ONDE), uno strumento collocato a 2000 metri di profondità nei pressi di Catania e attraverso il quale si voleva dimostrare che i rilevatori acustici sottomarini (o idrofoni) sono in grado di rilevare queste particelle subatomiche provenienti dallo spazio profondo.
Teoricamente, infatti, i neutrini altamente energetici possono produrre onde sonore. Siccome il suono nell’acqua si propaga meglio rispetto alla luce, un idrofono posizionato sul fondo marino potrebbe moltiplicare le possibilità di catturarli. Ciò nonostante la difficoltà maggiore è quella isolare il segnale di un evento di neutrino da quelle del rumore prodotto per lo più dalla circolazione naturale dell’acqua e dal traffico delle navi.
Per riuscire nel suo intento Riccobene chiese aiuto a Giovanni Pavan, un biologo marino dell’Università di Pavia, pionere negli anni ’80 della registrazione digitale dei suoni emessi dai mammiferi marini. Ascoltando le registrazioni realizzate dall’equipe di Riccobene a partire da aprile 2005, Pavan rimase sorpreso soprattutto da suoni di breve durata che si ripetevano in modo regolare e che furono attribuiti alla presenza di capidogli nella zona i quali, comprimendo l’aria attraverso il loro sistema respiratorio, producevano dei “clics” sonori.
Proprio come fanno i pipistrelli per calcolare la distanza che li separa da un ostacolo, questi cetacei utilizzano i cosiddetti clics per stimare la profondità del fondo marino e per localizzare le loro prede. Ascoltare questi segnali in modo sporadico è qualcosa di abbastanza normale nel Mediterraneo poiché sono considerati tra i suoni più forti prodotti da qualsiasi animale e che possono viaggiare fino a 20 kilomentri nell’acqua. Inoltre i capidogli sono considerati molto rari da quelle parti, ma nonostante ciò i clics continuavano ad apparire giorno dopo giorno nei dati raccolti.
Pian piano i due ricercatori videro prendere forma un quadro statistico molto interessante sulla popolazione di capidogli nel mare di Sicilia. Erano infatti stati capaci di rilevare segnali dovuti al comportamento sociale di questi mammiferi dal momento che alcune registrazioni contenevano le cosiddette “code”, brevi sequenze di clics ben determinati ed emessi >quando i maschi solitari si riuniscono attorno ai gruppi di femmine. Si pensava che la sequenza più frequente per i capidogli del Mediterraneo fosse del tipo 3 + 1, vale a dire una rapida successione di tre clics più uno extra. Le nuove registrazioni hanno invece dimostrato che il tipo più frequente è di tipo 2 + 1, cosa che potrebbe dare indizi sul traffico di balene procedenti dall’esterno della conca mediterranea.
E i neutrini?
In seguito a questa sorprendente scoperta, l’interesse di Riccobene si è andato spostando dallo studio diretto di queste particelle al modo di produrre dati di buona qualità a partire dai segnali sottomarini, diventando un vero e proprio esperto in bioacustica. Riccobene ha scoperto che nelle profondità del mare esistono moltissime sorgenti che contribuiscono al rumore di fondo e che per rilevare i neutrini avrà bisogno di molti più dati di quanto potesse immaginare prima di questa esperienza.
Tratto da Nature e tradotto da Gravedad Cero.
Considerando il fatto che un neutrino interagisce molto poco con la materia ordinaria, rilevare la sua presenza è davvero un’ardua impresa (sebbene negli ultimi anni si sono realizzati passi da gigante in questo senso). Solitamente gli strumenti dedicati questo tipo di studio si trovano in laboratori sotterranei dove la presenza di rocce sovrastanti riduce l’effetto della radiazione cosmica, che altrimenti potrebbe aggiungersi al flusso di neutrini potenzialmente rilevabile.
Tuttavia, la ricerca costante di tecniche alternative per individuare indizi sull’esistenza di queste particelle ha portato i ricercatori a “inventarsi” un metodo basato sulla rilevazione mediante l’uso di strumenti posizionati sul fondo del mare e nei quali molti di loro hanno depositato le loro speranze. Uno di loro è Giorgio Riccobene, un fisico delle particelle dell’Istituto Nazionale Italiano di Fisica Nucleare (INFN) di Catania. Nel 2002 Riccobene fu incaricato di sovrintendere i lavori dell’Ocean Noise Detection Experiment (ONDE), uno strumento collocato a 2000 metri di profondità nei pressi di Catania e attraverso il quale si voleva dimostrare che i rilevatori acustici sottomarini (o idrofoni) sono in grado di rilevare queste particelle subatomiche provenienti dallo spazio profondo.
Teoricamente, infatti, i neutrini altamente energetici possono produrre onde sonore. Siccome il suono nell’acqua si propaga meglio rispetto alla luce, un idrofono posizionato sul fondo marino potrebbe moltiplicare le possibilità di catturarli. Ciò nonostante la difficoltà maggiore è quella isolare il segnale di un evento di neutrino da quelle del rumore prodotto per lo più dalla circolazione naturale dell’acqua e dal traffico delle navi.
Per riuscire nel suo intento Riccobene chiese aiuto a Giovanni Pavan, un biologo marino dell’Università di Pavia, pionere negli anni ’80 della registrazione digitale dei suoni emessi dai mammiferi marini. Ascoltando le registrazioni realizzate dall’equipe di Riccobene a partire da aprile 2005, Pavan rimase sorpreso soprattutto da suoni di breve durata che si ripetevano in modo regolare e che furono attribuiti alla presenza di capidogli nella zona i quali, comprimendo l’aria attraverso il loro sistema respiratorio, producevano dei “clics” sonori.
Proprio come fanno i pipistrelli per calcolare la distanza che li separa da un ostacolo, questi cetacei utilizzano i cosiddetti clics per stimare la profondità del fondo marino e per localizzare le loro prede. Ascoltare questi segnali in modo sporadico è qualcosa di abbastanza normale nel Mediterraneo poiché sono considerati tra i suoni più forti prodotti da qualsiasi animale e che possono viaggiare fino a 20 kilomentri nell’acqua. Inoltre i capidogli sono considerati molto rari da quelle parti, ma nonostante ciò i clics continuavano ad apparire giorno dopo giorno nei dati raccolti.
Pian piano i due ricercatori videro prendere forma un quadro statistico molto interessante sulla popolazione di capidogli nel mare di Sicilia. Erano infatti stati capaci di rilevare segnali dovuti al comportamento sociale di questi mammiferi dal momento che alcune registrazioni contenevano le cosiddette “code”, brevi sequenze di clics ben determinati ed emessi >quando i maschi solitari si riuniscono attorno ai gruppi di femmine. Si pensava che la sequenza più frequente per i capidogli del Mediterraneo fosse del tipo 3 + 1, vale a dire una rapida successione di tre clics più uno extra. Le nuove registrazioni hanno invece dimostrato che il tipo più frequente è di tipo 2 + 1, cosa che potrebbe dare indizi sul traffico di balene procedenti dall’esterno della conca mediterranea.
E i neutrini?
In seguito a questa sorprendente scoperta, l’interesse di Riccobene si è andato spostando dallo studio diretto di queste particelle al modo di produrre dati di buona qualità a partire dai segnali sottomarini, diventando un vero e proprio esperto in bioacustica. Riccobene ha scoperto che nelle profondità del mare esistono moltissime sorgenti che contribuiscono al rumore di fondo e che per rilevare i neutrini avrà bisogno di molti più dati di quanto potesse immaginare prima di questa esperienza.
Tratto da Nature e tradotto da Gravedad Cero.
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