LA SCIENZA DELLE OPZIONI CONTRO IL RISCHIO FINANZIARIO
Il sociologo tedesco Ulrich Beck (in “La società del rischio – verso una seconda modernità” – Carocci editore, 2005) ci ricorda che viviamo nella cosiddetta “società del rischio”: una sorta di società post-industriale nella quale la produzione sociale di ricchezza va sistematicamente di pari passo con la produzione sociale di rischi. Detto in altri termini: più ci arricchiamo, più ci esponiamo a nuovi e più rilevanti rischi.
Parliamo di nuovi rischi, perché l’evoluzione sociale ha portato anche ad un’evoluzione dei rischi, che in particolare oggi non sono più circoscritti a luoghi (come la fabbrica) o a gruppi di persone (come coloro che svolgono determinate attività), ma sono diventati globali (si pensi ad es. al rischio nucleare) e come tali vengono definiti “minacce sociali”.
Così, quei rischi personali che, all’epoca di Colombo, evocavano gesta temerarie e avventure, ora sono diventati globali, in quanto si riferiscono all’eventualità dell’autodistruzione della vita sul nostro pianeta.
Essi sono “rischi della modernizzazione”, nel senso che riguardano l’odierna società. L’uomo di Neanderthal, occupato a rincorrere renne e mammut armato soltanto di una rudimentale lancia, aveva ben altro a cui pensare. Al massimo poteva capitargli una disgrazia individuale: la morte, in seguito allo scontro frontale con un grande mammifero. Tutt’al più avrebbe potuto lasciare il suo piccolo gruppo di neandertaliani senza carne per un po’, ma i suoi simili sarebbero comunque sopravvissuti (si veda a tal proposito “Un incontro di menti nell’età della pietra” di Thomas Wynn e Frederick L. Coolidge, su “Le Scienze” di gennaio 2009).
Entro certi limiti, la fame può essere saziata e i bisogni possono essere soddisfatti; al contrario, la domanda indotta dai rischi della civiltà è una “botte senza fondo”: inesauribile, infinita, autoproducente. Così i rischi della modernizzazione rappresentano anche un grosso business, in quanto molte aziende si preoccupano (per noi) per i rischi a cui siamo esposti. Questo è il motivo per cui la nostra società si evolve, e può anche fornire una possibile spiegazione all’estinzione degli uomini di Neanderthal, che ebbero scarse capacità nella pianificazione e nella formulazione di strategie. Di tutt’altra percezione del futuro fu invece dotato l’Homo Sapiens, che fu spesso un innovatore e un inventore consapevole.
Noi abbiamo raccolto l’eredità dell’Homo Sapiens innovando ed inventando anche nel campo finanziario. In questo modo, oltre ai rischi specifici della “società reale”, cioè di quella che si può toccare, abbiamo generato i rischi della società finanziaria, fatta di pezzi di carta (titoli) che rappresentano denaro. La centrale nucleare esiste, è tangibile, e genera rischi. I titoli sono soltanto righe di un programma, non si vedono, eppure sono causa di rischi ingentissimi. Ciò in quanto le variabili che influenzano il prezzo di un titolo sono così numerose e complesse, che ancora non è stata scoperta una legge matematica in grado di descriverne il comportamento in modo rigoroso e perfettamente prevedibile.
Ciclicamente il valore dei titoli cresce fino a raggiungere una soglia massima, come se fosse una bolla di sapone tesa fino all’estremo. E poi esplode, come è successo nel 2008, facendo numerosissime vittime, appartenenti ai più svariati ceti sociali, ma accomunati da una sola caratteristica: l’ignoranza (nel senso di non conoscenza) del rischio. Vittime illustri sono state persino le grandi università americane, che hanno voluto incrementare fino all’inverosimile i loro guadagni finanziari, puntando su titoli ad altissimo rischio. E hanno perso tantissimo denaro, al punto di influenzare negativamente le prospettive di avanzamenti scientifici in America nel medio termine (si veda “Università Usa piegate dai derivati” di Mario Platero, sul Sole 24 ore del 28 dicembre 2008).
Paolo Martini, Andrea Milesio e Alberto Fedel in “Io non ci casco più – I primi quattro passi per rialzarsi da questa crisi finanziaria” (edizione speciale per il Corriere della Sera, 2008) pongono proprio l’accento sulla necessità di conoscere i rischi, al fine di prevenire rovinose disgrazie finanziarie. Tanto è vero che i quattro passi da loro consigliati sono:
- capire cosa è successo, cioè comprendere l’origine della crisi finanziaria del 2008;
- conoscere l’ABC della Finanza, vale a dire non solo saper classificare le principali categorie di titoli, ma soprattutto capire a quali rischi si va incontro (e, naturalmente, ricordarsi che se il rendimento di un titolo è molto elevato, il rischio è altrettanto elevato);
- saper effettuare una pianificazione finanziaria. Con ciò si intende dire che ciascuno deve innanzitutto analizzare la propria situazione patrimoniale (i beni) e quella reddituale (entrate e uscite), in modo da poter programmare gli investimenti più coerenti con le future esigenze della propria famiglia;
- se la crisi finanziaria ci ha colpiti dobbiamo seguire tutta una serie di consigli per evitare di scivolare di nuovo su una buccia di banana…
Se è vero che abbiamo inventato strumenti finanziari pericolosi, è anche vero che abbiamo creato degli strumenti per difenderci dai rischi finanziari. Fra questi, sono molto importanti – e poco conosciute – le cosiddette “opzioni”, che sono proprio ciò che serve per evitare di farsi male (al portafogli).
Esistono due tipi fondamentali di opzioni: call e put. Le opzioni call danno al portatore il diritto di comprare un’attività entro una certa data, per un certo prezzo. Le opzioni put danno al portatore il diritto di vendere un’attività entro una certa data, per un certo prezzo.
Il prezzo indicato nel contratto è detto prezzo d’esercizio o “prezzo base”; la data indicata nel contratto è detta data di estinzione o “scadenza”.
Rispetto alla possibilità di esercitare l’opzione (di acquisto o vendita), si distinguono:
- le opzioni europee, che possono essere esercitate solo alla scadenza;
- le opzioni americane, che possono essere esercitate in qualsiasi momento durante la loro vita.
Vediamo ora un semplice esempio di copertura dal rischio finanziario tramite opzioni. Ipotizziamo di trovarci nel mese di gennaio 2009 e di possedere 1000 azioni Mondadori, pagate a suo tempo 6 euro l’una. Immaginiamo che oggi le Mondadori siano quotate 9 euro l’una. Dunque non avremmo nulla di cui preoccuparci…oggi, tuttavia abbiamo paura che il prezzo possa ridursi nei prossimi 3 mesi. Ci rendiamo cioè conto di essere esposti ad un rischio finanziario: la variabile di interesse, che è il prezzo delle azioni, dipende dai mercati finanziari.
Allora decidiamo oggi di comprare 1000 opzioni put, che ci danno diritto di vendere 1000 azioni Mondadori ad 8 euro l’una entro aprile 2009 (scadenza di 3 mesi). Immaginiamo che ogni opzione costi 0,50 euro. Di conseguenza il costo totale della strategia di copertura è 500 euro (= 1000 opzioni x 0,50 euro l’una). A questo punto dobbiamo analizzare i due possibili scenari futuri.
Scenario 1: il prezzo delle azioni scende sotto 8 euro, ad es. 6 euro. Cosa facciamo ? Esercitiamo la nostra opzione di vendere 1000 azioni ad 8 euro l’una, incassando 8.000 euro (= 1000 x 8). Posto che però abbiamo già speso 500 euro al fine di costruire la nostra strategia di copertura, l’incasso netto è 7.500 euro (= 8.000 – 500).
Scenario 2: il prezzo delle azioni resta sopra 8 euro, ad es. 9 euro. Cosa facciamo ? Non esercitiamo l’opzione. Vendiamo comunque le nostre 1000 azioni al prezzo di mercato, incassando 9.000 euro (= 1000 x 9). Come nello scenario 1, l’incasso deve essere calcolato al netto del costo della strategia di copertura, quindi sarà 8.500 euro (= 9.000 – 500).
Conclusione: se consideriamo che le nostre 1000 azioni le avevamo acquistate a 6 euro l’una, sostenendo un costo di 6.000 euro (= 1000 x 6), vediamo che in entrambi gli scenari otterremo una plusvalenza, cioè un risultato positivo generato dal fatto che venderemo comunque le azioni ad un prezzo superiore rispetto a quello di acquisto.In particolare, nello scenario 1 avremo un ricavo di 7.500 euro contro un costo di 6.000. Ciò implica una plusvalenza di 1.500 euro (= 7.500 – 6.000). Nello scenario 2 avremo un ricavo di 8.500 euro contro un costo sempre pari a 6.000. Quindi otterremo una plusvalenza pari a 2.500 euro (= 8.500 – 6.000).
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