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TECNOLOGIA MADE IN ITALY DA "FANTASCIENZA" MA NESSUNO LA VUOLE

Sembra strano ma è proprio vero. Si sa che esiste quasi sempre un forte ritardo tra il momento in cui viene fatta una scoperta e quando questa riesce ad essere utilizzata. Spesso l’utilizzazione è subordinata alle capacità tecniche e industriali di sfruttarla o alla possibile sua commercializzazione, ma questa volta non è così: una tecnologia da “fantascienza” è stata sviluppata in Italia ma attualmente è ancora inutilizzata per mancanza di interesse. La tecnologia, per ovvi motivi non è libera, ma è coperta da un certo grado di riservatezza. Diciamo che in una certa università italiana, un certo gruppo di ricerca, dopo anni di lavoro e numerose pubblicazioni, ha raggiunto la capacità e la tecnologia per sviluppare rapidamente dei sistemi neurali per il monitoraggio dei parametri di volo di un aereo e per il controllo dell'assetto di volo in caso di avaria e non solo. Potenzialmente una tale tecnologia potrebbe essere utilizzata anche per il controllo di assetto di un satellite in orbita senza che questo richieda alcun intervento umano. Andiamo per ordine. Detto così il metodo potrebbe sembrare non troppo distante dalla consueta tecnologia digitale, ma non è così, anzi il principio su cui si basa è molto differente.

Cominciamo dalla tecnologia neurale. Le prime reti neurali vennero sperimentate negli anni 80, altro non sono che delle sequenze di equazioni matematiche, le cosiddette “equazioni neurali” ciascuna delle quali simula il funzionamento di un neurone, la cellula di cui sono composti i tessuti biologici di un cervello animale. Un neurone è una cellula un po’ particolare, sottoposto ad uno stimolo esterno può trasmettere o non trasmettere informazione reagendo ad una sorta di condizionamento biochimico. Una rete neurale biologica è composta da miliardi di neuroni, ciascuno collegato tramite le sinapsi a migliaia di altre cellule simili, la rete tutta insieme forma il cervello che impara a reagire in base all’esperienza. Facciamo un esempio. Avete mai osservato un bambino mettere un dito su una candela accesa? Dapprima il bambino ha un’attrazione verso il fuoco della candela, poi uno stupore alla sensazione di calore e solo dopo alcuni istanti una reazione di pianto legata al dolore. Bene c’è da scommetterci che la prossima volta quel bambino non metterà più il dito sulla candela accesa, ma non lo metterà nemmeno su fiammelle prodotte da qualunque altra sorgente. La rete neurale biologica ha ricevuto inizialmente uno stimolo sensoriale visivo piacevole, successivamente a seguito dell’attivazione di tutti i neuroni associati agli organi sensoriali (che chiamiamo comunemente curiosità), vengono aperti tutti i canali sensoriali con lo scopo di analizzare la piacevole novità. Il tatto è uno di questi. Dato che a seguito del contatto con il fuoco i ricettori cutanei della pelle restituiscono uno stimolo negativo, letto dal cervello come una sensazione di dolore che contrasta con la bellezza attrattiva del fuoco, il cervello richiede, anche se non sempre, una conferma della percezione con un secondo o terzo tentativo. Dopo di che la rete neurale associa definitivamente allo stimolo visivo archiviato come “fuoco” uno stimolo negativo archiviato come “dolore” che “spegne” i neuroni responsabili della richiesta iniziale di contatto. Da quel momento il bambino ha “imparato” che il fuoco non si tocca.

Le reti neurali artificiali simulano matematicamente lo stesso tipo di comportamento. A seguito dell’ingresso di un segnale esterno, la rete mette in atto una risposta standard e in base all’esito, ne deriva in termini numerici un “premio” o una “punizione”, che ha l’effetto di amplificare o annullare la risposta attuata. Attualmente le reti neurali vengono comunemente usate per il riconoscimento vocale, per la lettura ottica delle forme e dei caratteri alfanumerici e a differenza di un computer che lavora su base numerica digitale associata ad una logica “tutto” o “niente ”, la rete neurale è analogica, ha quindi una gradualità nella risposta che va dal valore “zero” associato a nessuna risposta, a un numero K maggiore di uno che rappresenta l’amplificazione del segnale: il “premio”.

La tecnologia neurale ha il grosso vantaggio di autoapprendere a seguito di un periodo di training, non occorre perciò l’esperienza di volo del programmatore nel prevedere ogni possibile situazione, bastano ore di volo effettivo o simulato, in quanto per sistemi più o meno complessi le reti neurali sono in grado di imparare a comportarsi per raggiungere lo scopo per cui sono state progettate. Nel nostro caso, il gruppo di ricercatori è riuscito ad ottenere un modello neurale ottimale che consente all’aereo di recuperare l’assetto di volo perso a causa di danni prodotti o per atti di guerra o per guasti tecnici.

Servocontrolli di questo tipo sono già comunemente montati su aerei, ma come dicevamo, mentre un sistema neurale continua ad apprendere migliorando in linea di principio le proprie prestazioni, un computer, per quanto perfetto sia è immutabile ed è soggetto a errori di programmazione umani.

Circa tre anni fa nell’ambito delle attività istituzionali di OdisseoSpace, presi personalmente accordi con il gruppo di ricercatori che avevano all’epoca terminato con successo le prime sperimentazioni di volo su un F15 della NASA. Lo scopo era tentare un trasferimento tecnologico con l’industria italiana per dotare a medio termine sia gli aerei militari, sia gli aerei di linea, di una tecnologia neurale Made in Italy prima che altri paesi si dotassero di tecnologie analoghe. Si sa nell’industria chi prima arriva meglio alloggia. Nel frattempo presi contatti con Alenia Aeronautica; mi sembrava l’ente giusto per intraprendere un cammino comune di ricerca e sviluppo tecnologico. Dopo numerosi colloqui e un incontro durante il quale venne proposta una simulazione su computer del recupero di assetto di un F16 in volo livellato, il massimo che riuscimmo a strappare fu la disponibilità alla sperimentazione in volo. Nulla di fatto però per il finanziamento necessario allo sviluppo del prototipo. Non che fossero richieste grandi cifre, anzi. Tutti sanno l’endemica carenza di denaro della ricerca italiana. Esistono finanziamenti europei, nazionali e regionali, ma i paletti sono talmente tanti che risultano comunque favoriti solo quei progetti che portano ad una rapida commercializzazione di un prodotto, mentre tutto ciò che richiede lungimiranza spesso è abbandonato. Mi domando, è mai possibile che in Italia non esistano aziende in grado di consorziarsi per finanziare brillanti idee come questa? Beh, se ce ne sono contattatemi.

3 commenti

Anonimo ha detto...

Mi scusi, Auci, ma lei si riferisce allo per caso allo SFDIA - anzi allo NN-SFDIA prototipale realizzato qualche anno fa dall'Università di Perugia e dalla West Virginia University (di Napolitano, Fravolini, Campa et al.)?

Anonimo ha detto...

Allora forse sarebbe il caso di rilasciare la tecnologia in questione come 'libera' e aperta, affinché non venga perduta completamente.

Questo attirerebbe fondi e prestigio verso l'università che l'ha sviluppata, e favorirebbe la collaborazione con altri atenei, e quello che ci si aspetta da una uni.

Onestamente non mi sembra che quella di creare tecnologie chiuse sia una buona logica da adottare in una università: non ci sono mai fondi sufficenti, va contro il principio della condivisione del sapere scientifico, e inoltre gli atenei non sono posti tradizionalmente molto sicuri per sviluppare tecnologie sottoposte a segreti.

Anonimo ha detto...

Se è la tecnologia che credo, gioby, e che ho sopra menzionato (e non è particolarmente probabile, a mio avviso, che si tratti di un'altra) è già stata pubblicata da tempo: tu che intendi, comunque, per "aperta"?