ESPLORATORI PERDUTI. GRAVITÀ ZERO INTERVISTA IL DOTT. STEFANO MAZZOTTI
Approfittando del ponte
del primo maggio ci siamo recati a Ferrara per intervistare il dott.
Mazzotti, direttore del Museo Civico di Storia Naturale di Ferrara,
nonché autore del testo Esploratori perduti (Codice Edizioni 2011).
Dott Mazzotti com'è
nata l'idea del libro?
Gli storici si sono più
che altro basati sul primo colonialismo italiano tralasciando e
facendo cadere nell'oblio la seconda fase, caratterizzata dalle
esplorazioni scientifiche. Si è creato così un vuoto storico ed
editoriale. Il libro vuole colmare questo vuoto. Il lavoro è stato
enorme ed ha richiesto molta analisi e selezione del materiale per
poter scegliere gli esploratori più significativi.
La fase storica trascurata
è un momento fondamentale caratterizzato da: darwinismo,
positivismo, colonialismo e irredentismo. In quel momento storico
sono esistiti uomini un po' folli con un approccio tipico degli
etnoantropologi (a colonizzare ci pensavano i soldati).
A quei tempi i viaggi
scientifici erano finanziati da se stessi, dalla Società geografica
italiana e persino dal Ministero della pubblica istruzione, oggi chi
finanzia la ricerca scientifica?
Si autofinanziavano perchè
erano ricchi o di nobile discendenza. Lo Stato finanziava perchè
dietro c'erano motivi coloniali ed economici. Per esempio si è
cominciato ad andare in Asia, perchè in Europa erano morti i bachi
da seta e non sapevano più come fare. Questi uomini si sono
imbarcati con tutt'altro proposito.
Oggi ci sono ancora
spedizioni, nonostante i tagli, ma come allora si va avanti grazie
alla forza dei singoli.
Ci sono stati
esploratori che partivano con “250 uomini armati, e svariati
animali da soma e da macello...” e altri che andavano da soli, o
con un solo compagno, stracarichi di attrezzi. Anche oggi è
necessaria tutta quella attrezzatura, ed un solo farmaco?
Quella era tutt'altra
epoca, gli esploratori vivevano in media 70 anni, questo perchè la
mortalità infantile era molto alta. Possiamo dire che erano
selezionati dalla natura perchè resistenti alle malattie. Per
esempio Beccari si è preso il vaiolo su di una nave, ma sceso a
terra era subito pronto ad esplorare e reputava di aver avuto una
forma leggera rispetto agli altri, perchè aveva assunto litri di un
farmaco per la febbre, che in realtà serviva a poco o niente.
Pochi esploratori han
fatto arrivare in Italia quantità enormi di reperti. C'è ancora
qualcosa da scoprire? Si sta ancora lavorando sulla loro analisi?
Nella
seconda metà dell' 800 nascono tutte le cattedre e i musei di storia
naturale. In quel periodo abbiamo messo insieme delle collezioni di
importanza mondiale, di cui non si parla mai. Siamo arrivati a
fornire anche musei esteri, che invece sono noti per le loro
collezioni. Per esempio alcune specie di uccelli del paradiso sono state scoperte da esploratori italiani ed oggi sono diventate divi dei documentari della BBC.
Ancora
oggi si trovano specie sconosciute. Non sto parlando di insetti, ma
di animali di grosse dimensioni come antilopi o addirittura una scimmia. Io stesso sono stato in una spedizione di venti giorni
sul versante amazzonico delle Ande Peruviane e abbiamo scoperto animali in merito ai quali abbiamo
scritto diversi articoli pubblicati su riviste internazionali.
Si sta
ancora lavorando sull'analisi dei reperti raccolti allora. Inoltre si stanno riscoprendo le
collezioni storiche, perchè vi si stanno applicando le nuove
tecniche di analisi, come le biopsie degli organismi e l'analisi del
DNA.
All'epoca un
esploratore scientifico aveva caratteristiche poliedriche, per
esempio era scienziato, architetto e falegname, cacciatore,
raccoglietore e conservatore, procacciatore e agente di viaggio,
diplomatico, scalatore,resistente alle malattie e alle lunghe
privazioni, fotografo e disegnatore eccelso, pescatore ed esperto di
tassidermia, più svariate caratteristiche di personalità. Anche
gli esploratore di oggi devono essere così?
Questi
naturalisti erano trasversali, potevano catalogare dai minerali
all'uomo, con le sue scoperte uno solo di loro poteva riempire un
intero museo.
Gli
esploratori di oggi hanno il GPS, il satellite e prima di partire son
quasi sicuri che abbia senso andare ad esplorare un luogo.
Allora
si lavorava anni, si spedivano i reperti via mare, si facevano foto
che si sviluppavano in patria. Ad esempio Sella di era trasportato
cento lastre di vetro per fotografare, fin sopra i 5000 metri, senza
nessuna certezza del risultato.
Se il
carico andava perso, erano anni di lavoro e privazioni buttati al
vento. Avevano quindi anche una forte resistenza psicologica
(resilienza n.d.a.).
Tornando all'interesse
scientifico dello Stato, c'era anche da parte del popolo?
Assolutamente
si, c'era l'interesse della gente. Esistevano riviste di viaggi e
scientifiche. Erano facili da leggere, perchè consideravano la
letteratura e la scienza cultura e scrivevano come romanzieri, con la
differenza che non inventavano nulla. Non erano da meno anche nello
scrivere rapporti scientifici in base alle linee guida dell'epoca.
Erano sia scienziati, sia divulgatori.
In
conclusione farei una considerazione. Le vite di questi uomini hanno
in sé tutti gli elementi che rendono avvincente una storia:
avventura, eroismo, patimento, sarebbero perfette per numerose
Fiction televisive, che purtroppo oggigiorno potrebbero essere
l'unico mezzo per diffondere la conoscenza di queste straordinarie
vite...oltre a questo libro, naturalmente.
Luigina Pugno & Walter Caputo
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