IL FANTOMATICO “R” STAR E LA RINASCITA DEGLI INFINITESIMI
Se chiedessimo alla prima persona che incontriamo uscendo di casa quale tipo di matematica ricorda, probabilmente risponderebbe: “l’analisi matematica”. Potremmo domandargli di cosa si tratta, e – se lo facessimo – il soggetto risponderebbe quasi certamente così:
“Guardi, non ricordo nulla. Anzi, una cosa la ricordo benissimo: faceva schifo e non ci capivo niente. Odiavo le derivate e gli integrali, ma – fra tutti gli argomenti – il peggiore era costituito dai limiti. Ma chi li ha inventati e perché? Francamente poi, dubito che esistano delle regole che consentono facilmente di calcolare i limiti”.
I limiti e l’algebra dei limiti vennero “inventati” soprattutto da Karl Weierstrass fra il 1870 e il 1880. Dunque il concetto di limite, che è uno scoglio difficile da superare per generazioni di studenti, ha un fondatore, che si è preoccupato anche di elaborare le regole di calcolo. Ma perché l’ha fatto? Per poter operare “facilmente” solo con i numeri reali, eliminando gli ingombranti infinitesimi, che sono – per avere un’idea – dei numeri piccolissimi. Gli infinitesimi, nati sostanzialmente con Leibniz (che, insieme a Newton, viene considerato il padre dell’Analisi Matematica Standard, cioè quella diffusa in tutte le scuole e università), sono associati al concetto di derivata, ovvero – sempre per avere un’idea – alla pendenza di una curva.
Immaginate di scalare una montagna: se essa non è una linea retta, la pendenza sarà diversa in ogni punto. Se volete calcolare la pendenza in un punto, dovete fare un passettino microscopico, appunto infinitesimo, per vedere quanto la montagna risulta ripida. Ora, ai tempi di Leibniz, i limiti non esistevano, dunque se ne poteva fare tranquillamente a meno. E gli studenti dell’epoca saranno stati sicuramente più felici dei loro colleghi attuali. Tuttavia, all’epoca, c’era un problema rilevante costituito proprio dagli infinitesimi: una volta creati, spesso nei calcoli davano fastidio e così venivano fatti sparire come la polvere sotto i tappeti. Ma la matematica è una disciplina scientifica rigorosa: non è possibile nascondere la polvere, se non in base ad una precisa legge che ci autorizzi a farlo.
Per risolvere il problema degli infinitesimi esistono sostanzialmente due strade: la prima è quella di inventare i limiti (Analisi Matematica Standard), la seconda consiste invece nel far diventare gli infinitesimi numeri come tutti gli altri (Analisi Matematica Non Standard). È proprio quest’ultima la strada seguita da matematici come Thoralf A. Skolem, logico norvegese che si accorse, nel 1934, che esistevano degli altri numeri oltre ai reali, e poi da Edwin Hewitt che, nel 1948, decise di battezzarli col nome di “iperreali” e soprattutto da Abraham Robinson che restituì vita agli infinitesimi e da H. Jerome Keisler che riuscì a riformulare tutta l’analisi matematica secondo il principio infinitesimale di Robinson.
La “nuova” Analisi non standard riprende e sviluppa i principi di Leibniz, pervenendo all’elaborazione di un nuovo insieme di numeri, chiamato R* (R star). Infatti, affinché gli infinitesimi acquisiscano la dignità di numeri, occorre un insieme numerico che li ospiti adeguatamente. R* è l’insieme dei numeri iperreali, cioè l’insieme dei reali, degli infinitesimi, dei reciproci degli infinitesimi (che sono numeri infiniti) e di altri numeri infinitamente vicini ai reali. Dunque R* è più grande di R (= insieme dei numeri reali) perché contiene R. Ma c’è dell’altro. Innanzitutto in R* troviamo gli infinitesimi, cioè quei numeri “c” appartenenti ad R* tali che “c” in valore assoluto sia minore di 1/n per ogni numero naturale “n”. Cosa significa? Che, preso ad esempio n = 4, quindi 1/n = ¼ = 0,25, troveremo sicuramente un numero infinitesimo più piccolo di 0,25: addirittura, invece che n = 4, possiamo prendere qualunque n. Allora prendiamo ad esempio un n gigantesco, cosicché 1/n sia un numero piccolissimo: ecco, un infinitesimo è un numero ancora più piccolo, ed esiste. Trovato un infinitesimo possiamo costruire tanti altri numeri iperreali non reali, ad esempio c + c, oppure 4c che sono ancora infinitesimi, o anche 1/c (ovvero il reciproco di un infinitesimo) che è invece, per i motivi anzidetti, un infinito.
Come ultima categoria, R* contiene altri numeri iperreali infinitamente vicini ai reali. Infatti ogni numero iperreale finito (sono quindi esclusi gli iperreali infiniti, ma sono compresi gli infinitesimi) è infinitamente vicino ad esattamente un numero reale, nel senso che la distanza fra l’iperreale e il reale è infinitesima. Ad esempio l’infinitesimo “c” (iperreale finito) è infinitamente vicino a zero (numero reale). Inoltre 2 (reale) e 2 + c (iperreale) sono infinitamente vicini in quanto la loro differenza [= (2+c) – 2 = 2+c-2 = c] è un infinitesimo.
Possiamo concludere questo articolo con un’avvertenza: non dovete confondere R* con R più l’insieme costituito esclusivamente da più infinito e meno infinito, nel senso che R* è diverso da R con la semplice aggiunta di più e meno infinito. Infatti in R* gli infiniti sono numeri e come tali possono essere trattati algebricamente; inoltre in R* vi sono quantità infinite di numeri infiniti differenti.
Al contrario, più infinito e meno infinito dell’analisi standard non sono numeri reali (in quanto sono sempre esclusi da R), né numeri iperreali, non rispettano le leggi dell’algebra, cioè non si possono addizionare, moltiplicare ecc. senza cadere in contraddizione con gli assiomi che reggono R. Infine, più infinito e meno infinito sono solo due elementi rappresentabili come “punto iniziale” e “punto finale” della retta reale.
Tutto ciò per dire che, se facciamo un piccolo sforzo per capire R*, possiamo accedere ad una forma più semplice di analisi matematica. Ormai l’avrete capito: si chiama Analisi Matematica Non Standard.
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